CHE COSA E’
L’UOMO?
Che cosa è la
specie uomo? L’uomo è il prodotto determinato dalla sua eredità naturale e
dall’ambiente storico-culturale in cui è stato educato? E’ il protagonista
della sua storia, personale e sociale, di emancipazione dai condizionamenti
dello stato di natura e dell’ambiente culturale storicamente determinato in cui
vive? C’è discontinuità tra il regno naturale e quello specifico dell’uomo? Ha
una specifica particolarità naturale come ogni altro essere vivente, oppure ha
qualcosa in più che gli consente di potersi svincolare dai condizionamenti
naturali e storici? La sua mente è determinata dalla materia e dall’ambiente
storico sociale in cui vive, oppure ha una sua autonomia, una sua libertà, una
sua ragione critica, una specificità che le consente di trascendere, di
oltrepassare i condizionamenti naturali e storici? Può evolversi dalla sua
animalità, oppure tutto il suo modo di essere nel mondo è determinato alla
nascita dalla sua innata eredità naturale e dall’ambiente culturale in cui è
stato educato?
L’idea che
l’uomo sia determinato dalla sua eredità naturale può degenerare nella credenza
che, per natura, ci sarebbero dei buoni e dei cattivi, degli eletti e dei
tarati, e che le capacità mentali dell’essere umano derivino prevalentemente da
fattori ereditari, piuttosto che dall’influenza dell’ambiente in cui vive e
dall’educazione culturale acquisita, sia individuale sia sociale.
La concezione
meramente materialistica e deterministica, nel senso che tutto il modo di
essere dell’uomo è programmato esclusivamente dalla natura e dall’ambiente
storico-culturale, può degenerare nella negazione della libertà umana. Il
libero arbitrio dell’uomo sarebbe quindi un’illusione. Io penso che sia proprio
la libertà specifica dell’uomo, rispetto agli altri esseri viventi, che gli dia
adito a riflettere con spirito critico su se stesso e sul mondo che lo ospita, rendendolo
libero da condizionamenti imposti dalla natura e dall’educazione. Ed è proprio
questa specificità dell’uomo, la sua umanità, a separarlo dalla sua animalità e
a determinare una sua propria etica. L’animale, invece, è guidato dall’istinto
specifico della sua specie, che lo obbliga a un codice di comportamento. La
condizione di libertà dell’uomo gli consente di svincolarsi da ogni
condizionamento. La sua libertà di scelta, determinata dal suo spirito critico,
lo separa dai condizionamenti naturalistici e culturali e gli consente di
esprimere giudizi di valore universali, come quelli indicati nella
Dichiarazione dei diritti fondamentali dell’uomo, validi per ogni persona,
indipendentemente dalla sua appartenenza a una comunità etnica, religiosa,
linguistica, nazionale. L’umanità, dunque, si differenzia dall’animalità in
base al criterio della libertà, cioè della capacità d’interrogarsi sulla sua natura
e di giudicare moralmente la realtà.
L’uomo,
quindi, ha una sua specificità etico-culturale, che consiste nella coscienza di
sé, ossia nella libertà di pensare con spirito critico e di interrogarsi,
condividendo la sua esperienza con altri uomini. Ed è proprio questa sua
libertà che consente all’uomo di costruire la sua storia nel mondo e fondare i
suoi valori etici o commettere azioni malvagie.
L’etica
aristocratica, fondata sull’ineguaglianza naturale nella ripartizione dei
talenti, è elitista e naturalistica; perciò avvantaggia i migliori, dotati più
degli altri di talenti naturali. La virtù dell’etica aristocratica consiste nel
conseguire l’eccellenza mediante il talento innato. L’eccellenza è intesa come
giusta misura, come perfezione della propria natura, come medietà tra posizioni
estreme. Ciascuno deve trovare la sua sistemazione nella società secondo la sua
natura innata.
L’etica
meritocratica, fondata sulla competizione individuale, avvantaggia il merito
piuttosto che il talento; favorisce il percorso formativo della personalità,
piuttosto che i risultati conseguiti. Il merito consiste nello sforzo
effettuato per superare i propri limiti, piuttosto che nella realizzazione
delle proprie capacità innate. Il talento, essendo un dono naturale, non ha
alcun valore etico di per sé. La virtù ora consiste nella lotta della libertà
contro i limiti della natura umana, contro ogni forma di egoismo e d’interesse
particolare, contro ogni condizionamento. L’etica meritocratica è un’etica
democratica e i suoi valori sono l’altruismo, la solidarietà, l’azione
disinteressata, l’interesse generale, l’universalità. La virtù dell’etica
democratica implica quella del dovere, ossia la capacità di resistere alla
nostra natura egoistica, all’animalità. Dobbiamo trovare proprio in noi le
ragioni per superare i nostri personali interessi. E’ la nostra soggettività
che decide in ultima istanza a cosa dare o togliere valore.
L’etica
utilitaristica, invece, mira non alla realizzazione delle doti innate né al
superamento di sé, ma al benessere personale, mentale e fisico. Lo scopo
dell’attività umana consiste nel conseguimento della massima felicità per il
maggior numero di persone. L’etica utilitaristica è dunque universalistica e
contraria all’edonismo egoistico.
Se l’esistenzialismo
è la filosofia basata sulla convinzione che l’esistenza preceda l’essenza, la
filosofia cristiana, invece, ritiene che sia l’essenza a precedere l’esistenza.
In altri termini, l’ente divino concepisce prima l’idea dell’uomo, della donna
e dell’universo, cioè l’essere; poi mette in atto la creazione che li fa
esistere. Ciò presuppone una finalità dell’essere, creato dall’artefice divino.
L’essere umano e il cosmo così concepiti devono risponde a un obiettivo,
compiere una determinata missione (per esempio, l’uomo è stato creato per
servire l’ente supremo e obbedire alle sue leggi). Se, al contrario, nessuna
essenza precede la sua esistenza, se l’uomo non è stato progettato per uno
scopo e, quindi, non è stato creato per realizzare tale scopo, allora ne
consegue che l’uomo è libero, non condizionato dai comandamenti divini, bensì
padrone del suo essere nel mondo. La sua dignità è nella sua libertà, nel suo
non essere determinato da essenze preliminari alla sua esistenza. L’uomo che,
negando la propria libertà, assume in malafede determinati ruoli psicologici o
sociali, identificandosi completamente in essi, trasforma la sua umanità in un
oggetto. In tal caso, sarà il ruolo assunto dall’uomo a determinare la sua
esistenza. L’essere umano autentico, quindi, non è chi s’identifica in un
ruolo, ma chi, distanziandosi da sé oggetto, si pone come soggetto che riflette
e giudica se stesso e il mondo. In questa distanza della coscienza, che è solo
soggetto, dall’oggettività delle cose del mondo, l’uomo dà un significato alle
cose medesime e toglie loro l’essere in sé. E’ l’uomo responsabile del mondo,
di se stesso e delle scelte che assume. Il conflitto tra gli uomini sorge dai
differenti significati che ogni uomo dà alle cose del mondo.
Se l’essere
umano non ha un senso determinato a priori, deve dare da sé e per se stesso un
significato alla sua vita. L’esistenzialismo, dunque, si pone in antitesi alla
teologia e a ogni genere di metafisica, che cercano sempre la causa dei
comportamenti umani fuori di loro. La conoscenza deve fondarsi sulla concreta
rappresentazione della realtà, che abbia una validità universale, non invece
sulla contemplazione metafisica, che prescinde da ogni possibile esperienza. Un
concetto astratto, di cui non sia possibile avere alcuna immagine sensibile,
resta del tutto incomprensibile e non concretamente rappresentabile nella
coscienza umana. Il linguaggio metafisico, dunque, è irrazionale, giacché fuori
dalle esigenze di comprensione e di senso che sono quelle della coscienza reale
degli uomini.
Per approfondimenti, si rimanda a:
Che cos’è
l’uomo – Sui fondamenti della Biologia e della Filosofia
di Luc Ferry
e Jean-Didier Vincent.
Presentazione
di Salvatore Veca.
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