domenica 16 febbraio 2014


CHE COSA E’ L’UOMO?


Che cosa è la specie uomo? L’uomo è il prodotto determinato dalla sua eredità naturale e dall’ambiente storico-culturale in cui è stato educato? E’ il protagonista della sua storia, personale e sociale, di emancipazione dai condizionamenti dello stato di natura e dell’ambiente culturale storicamente determinato in cui vive? C’è discontinuità tra il regno naturale e quello specifico dell’uomo? Ha una specifica particolarità naturale come ogni altro essere vivente, oppure ha qualcosa in più che gli consente di potersi svincolare dai condizionamenti naturali e storici? La sua mente è determinata dalla materia e dall’ambiente storico sociale in cui vive, oppure ha una sua autonomia, una sua libertà, una sua ragione critica, una specificità che le consente di trascendere, di oltrepassare i condizionamenti naturali e storici? Può evolversi dalla sua animalità, oppure tutto il suo modo di essere nel mondo è determinato alla nascita dalla sua innata eredità naturale e dall’ambiente culturale in cui è stato educato?

L’idea che l’uomo sia determinato dalla sua eredità naturale può degenerare nella credenza che, per natura, ci sarebbero dei buoni e dei cattivi, degli eletti e dei tarati, e che le capacità mentali dell’essere umano derivino prevalentemente da fattori ereditari, piuttosto che dall’influenza dell’ambiente in cui vive e dall’educazione culturale acquisita, sia individuale sia sociale.

La concezione meramente materialistica e deterministica, nel senso che tutto il modo di essere dell’uomo è programmato esclusivamente dalla natura e dall’ambiente storico-culturale, può degenerare nella negazione della libertà umana. Il libero arbitrio dell’uomo sarebbe quindi un’illusione. Io penso che sia proprio la libertà specifica dell’uomo, rispetto agli altri esseri viventi, che gli dia adito a riflettere con spirito critico su se stesso e sul mondo che lo ospita, rendendolo libero da condizionamenti imposti dalla natura e dall’educazione. Ed è proprio questa specificità dell’uomo, la sua umanità, a separarlo dalla sua animalità e a determinare una sua propria etica. L’animale, invece, è guidato dall’istinto specifico della sua specie, che lo obbliga a un codice di comportamento. La condizione di libertà dell’uomo gli consente di svincolarsi da ogni condizionamento. La sua libertà di scelta, determinata dal suo spirito critico, lo separa dai condizionamenti naturalistici e culturali e gli consente di esprimere giudizi di valore universali, come quelli indicati nella Dichiarazione dei diritti fondamentali dell’uomo, validi per ogni persona, indipendentemente dalla sua appartenenza a una comunità etnica, religiosa, linguistica, nazionale. L’umanità, dunque, si differenzia dall’animalità in base al criterio della libertà, cioè della capacità d’interrogarsi sulla sua natura e di giudicare moralmente la realtà.

L’uomo, quindi, ha una sua specificità etico-culturale, che consiste nella coscienza di sé, ossia nella libertà di pensare con spirito critico e di interrogarsi, condividendo la sua esperienza con altri uomini. Ed è proprio questa sua libertà che consente all’uomo di costruire la sua storia nel mondo e fondare i suoi valori etici o commettere azioni malvagie.

L’etica aristocratica, fondata sull’ineguaglianza naturale nella ripartizione dei talenti, è elitista e naturalistica; perciò avvantaggia i migliori, dotati più degli altri di talenti naturali. La virtù dell’etica aristocratica consiste nel conseguire l’eccellenza mediante il talento innato. L’eccellenza è intesa come giusta misura, come perfezione della propria natura, come medietà tra posizioni estreme. Ciascuno deve trovare la sua sistemazione nella società secondo la sua natura innata.

L’etica meritocratica, fondata sulla competizione individuale, avvantaggia il merito piuttosto che il talento; favorisce il percorso formativo della personalità, piuttosto che i risultati conseguiti. Il merito consiste nello sforzo effettuato per superare i propri limiti, piuttosto che nella realizzazione delle proprie capacità innate. Il talento, essendo un dono naturale, non ha alcun valore etico di per sé. La virtù ora consiste nella lotta della libertà contro i limiti della natura umana, contro ogni forma di egoismo e d’interesse particolare, contro ogni condizionamento. L’etica meritocratica è un’etica democratica e i suoi valori sono l’altruismo, la solidarietà, l’azione disinteressata, l’interesse generale, l’universalità. La virtù dell’etica democratica implica quella del dovere, ossia la capacità di resistere alla nostra natura egoistica, all’animalità. Dobbiamo trovare proprio in noi le ragioni per superare i nostri personali interessi. E’ la nostra soggettività che decide in ultima istanza a cosa dare o togliere valore.

L’etica utilitaristica, invece, mira non alla realizzazione delle doti innate né al superamento di sé, ma al benessere personale, mentale e fisico. Lo scopo dell’attività umana consiste nel conseguimento della massima felicità per il maggior numero di persone. L’etica utilitaristica è dunque universalistica e contraria all’edonismo egoistico.

Se l’esistenzialismo è la filosofia basata sulla convinzione che l’esistenza preceda l’essenza, la filosofia cristiana, invece, ritiene che sia l’essenza a precedere l’esistenza. In altri termini, l’ente divino concepisce prima l’idea dell’uomo, della donna e dell’universo, cioè l’essere; poi mette in atto la creazione che li fa esistere. Ciò presuppone una finalità dell’essere, creato dall’artefice divino. L’essere umano e il cosmo così concepiti devono risponde a un obiettivo, compiere una determinata missione (per esempio, l’uomo è stato creato per servire l’ente supremo e obbedire alle sue leggi). Se, al contrario, nessuna essenza precede la sua esistenza, se l’uomo non è stato progettato per uno scopo e, quindi, non è stato creato per realizzare tale scopo, allora ne consegue che l’uomo è libero, non condizionato dai comandamenti divini, bensì padrone del suo essere nel mondo. La sua dignità è nella sua libertà, nel suo non essere determinato da essenze preliminari alla sua esistenza. L’uomo che, negando la propria libertà, assume in malafede determinati ruoli psicologici o sociali, identificandosi completamente in essi, trasforma la sua umanità in un oggetto. In tal caso, sarà il ruolo assunto dall’uomo a determinare la sua esistenza. L’essere umano autentico, quindi, non è chi s’identifica in un ruolo, ma chi, distanziandosi da sé oggetto, si pone come soggetto che riflette e giudica se stesso e il mondo. In questa distanza della coscienza, che è solo soggetto, dall’oggettività delle cose del mondo, l’uomo dà un significato alle cose medesime e toglie loro l’essere in sé. E’ l’uomo responsabile del mondo, di se stesso e delle scelte che assume. Il conflitto tra gli uomini sorge dai differenti significati che ogni uomo dà alle cose del mondo.

Se l’essere umano non ha un senso determinato a priori, deve dare da sé e per se stesso un significato alla sua vita. L’esistenzialismo, dunque, si pone in antitesi alla teologia e a ogni genere di metafisica, che cercano sempre la causa dei comportamenti umani fuori di loro. La conoscenza deve fondarsi sulla concreta rappresentazione della realtà, che abbia una validità universale, non invece sulla contemplazione metafisica, che prescinde da ogni possibile esperienza. Un concetto astratto, di cui non sia possibile avere alcuna immagine sensibile, resta del tutto incomprensibile e non concretamente rappresentabile nella coscienza umana. Il linguaggio metafisico, dunque, è irrazionale, giacché fuori dalle esigenze di comprensione e di senso che sono quelle della coscienza reale degli uomini.

                  

Per approfondimenti, si rimanda a:

Che cos’è l’uomo – Sui fondamenti della Biologia e della Filosofia

di Luc Ferry e Jean-Didier Vincent.

Presentazione di Salvatore Veca.


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