INTRODUZIONE
ALLE LETTERE PAOLINE
Saulo, più noto con il nome
romano di Paolo, nato a Tarso (capoluogo della provincia romana di Cilicia) nel
primo decennio dell’era volgare (e.v.), cittadino romano (gli abitanti di Tarso
avevano diritto a ottenere la cittadinanza romana), ma greco di lingua (cita
spesso la Bibbia greca nella traduzione della LXX), ebreo quanto a formazione
religiosa (era fariseo, di stretta osservanza, e nazireo), commerciante di
tende, avvezzo a vivere in ambienti multiculturali, insignito dalla Chiesa del
titolo di “doctor gentium” (apostolo dei pagani), è l’ideatore del
cristianesimo universale (katolikòs), rivolto a tutti (non quindi di
carattere etnico, proprio di un popolo), svincolato dalle strettoie del giudaismo.
Nelle epistole a lui attribuite (c.d. "proto-paoline"), o scritte
sotto il suo nome (c.d. "deutero-paoline"), ma tutte considerate
canoniche (perché ritenute ispirate da Dio), l’autore mostra di possedere una
discreta formazione culturale. Egli non si rivolge a filosofi (ad eccezione
dell'episodio del suo discorso nell'Areopago di Atene; cfr. At 17,22-34), bensì
a gente comune. La sua morale risente in parte dell’influenza della filosofia
stoica. La sua attività missionaria tra i “gentili” lo induce ad adattare il
cristianesimo giudaico (espresso in lingua aramaica) al mondo
pagano-ellenistico (di lingua greca o latina) e a considerare non più
vincolante l’osservanza della legge rituale ebraica. Paolo assume a
fondamentale importanza non più l’appartenenza a un determinato popolo eletto,
bensì la fede in Gesù, il Cristo risorto. Alla circoncisione sostituisce il
battesimo. Per questa sua “devianza” fu sospettato di apostasia e osteggiato
dai notabili giudeo-cristiani di Gerusalemme e dagli ebrei ellenistici della
diaspora. Paolo, dunque, può essere considerato come l’iniziatore della
trasformazione del giudeo-cristianesimo nel pagano-cristianesimo di stampo
ellenistico, che si formalizzerà e istituzionalizzerà poi nel cattolicesimo
romano. Il cristianesimo giudaico, in sostanza, sarà esautorato dal paolinismo.
Il
pareidolico e apofenico Paolo, durante il viaggio verso Damasco per arrestare
dei neofiti cristiani su ordine del Sinedrio (ciò appare inverosimile, perché
Damasco era fuori della giurisdizione del tribunale ebraico), è colpito da una
folgorante allucinazione che lo stramazza al suolo, accecandolo (forse ebbe una
convulsione causata da epilessia psicomotoria). In quello stato patologico di
confusione mentale, egli crede di sentire la voce di Gesù, che lo rimprovera di
perseguitarlo e lo invita a cambiar vita (cfr. At, capitoli 9.22.26).
Abbagliato dalla divina illusoria teofania, Paolo ricupera la vista dopo tre
giorni, in virtù dell’imposizione delle mani da parte di Anania di Damasco,
discepolo di Gesù. Suggestionato dalla voce udita durante la visione, si fa
iniziare alla fede di Cristo e al rito del battesimo, impartito dallo stesso
Anania (At 9, 1 seg.). Dopo la conversione, presume di aver ricevuto
direttamente da Gesù il conferimento del mandato missionario presso i
“gentili”, cioè i non ebrei (cfr. Rm 1,1-6; 11,13), dove predica un personale
“vangelo”, fondamento dell’incipiente fede cristiana di stampo paolino.
L’autore dell’apocrifo “Kerygma petrou” (frammenti della Predicazione di
Pietro, tramandati in citazioni) dubita circa l’illuminazione di Paolo e la sua
pretesa ortodossia dottrinaria. Alcuni studiosi ipotizzano che Paolo fosse un
delatore al servizio del Sinedrio e dell’autorità politica romana, e che la sua
conversione sia stata indotta dal cambio della politica romana in Giudea,
promossa dall’imperatore Claudio, che aveva ordinato la destituzione del
procuratore Pilato e del sommo sacerdote Caifa. Auto-proclamatosi apostolo,
Paolo confonde i suoi arbitrari giudizi morali con le regole emanate
dall’Altissimo (idealizzato nel Cristo immaginario delle sue estasi),
divulgandoli come valori universali. Egli, pur vivendo a Gerusalemme, dove si
atteggiava a fanatico persecutore della setta dei nazareni, non mostra di avere
conoscenza della vicenda del Cristo Gesù, nonostante i conclamati miracoli e il
clamore suscitati presso la sua gente (come attestano i Vangeli). Paolo, per
giustificare il suo stato di celibe, equivoco per la mentalità ebraica del
tempo, inventa la dottrina della castità e l’ideale ascetico. In realtà, Paolo
è ossessionato dalla sua fobia sessuale. Forse si tratta di quella “spina nella
carne” che - dice Paolo – gli è stata conficcata da Satana. Egli vorrebbe che
tutti fossero asessuati come lui. Della sua famiglia sappiamo solamente che ha
una sorella di nome Febe (Lettera ai Romani 16, 1), e che il figlio di costei
intercede presso il tribuno che aveva in custodia Paolo dopo il suo arresto
(Atti degli Apostoli 23, 16). Nella Lettera ai Romani (16, 7.1 3), Paolo invia
saluti ad alcuni parenti: ad Andronico e Giunia, suoi compagni di prigionia, a
suo fratello Rufo e a sua madre che è anche madre di Paolo. Rufo e suo fratello
Alessandro sono figli di quel Simone di Cirene che aiutò Gesù a portare la
croce (Mc 15, 21). Se fosse vero che il “fratello” Rufo è parente di Paolo e
figlio di Simone di Cirene, e che la madre di Rufo è anche la madre di Paolo,
risulterebbe che il padre di Paolo è Simone di Cirene.
Sotto il
nome di Paolo la Chiesa tramanda quattordici epistole (genere letterario
ereditato dai filosofi greci) scritte in lingua greca (la koinè, il
comune dialetto parlato dalla grande massa dei popoli del mediterraneo). Sono
descritti nelle lettere i viaggi missionari di Paolo in Asia Minore, Grecia e
Italia. Esse hanno come mittente Paolo (ad eccezione della Lettera agli Ebrei)
e sono indirizzate a comunità del mondo ellenizzato, esortate (parenesi) a
mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti. Queste epistole sono i più
antichi documenti cristiani, databili intorno alla seconda metà del I secolo,
modello per la redazione delle successive missive apostoliche, finalizzate alla
propaganda della fede. Hanno la struttura simile alle orazioni giudiziarie,
codificate da Cicerone e Quintiliano: indirizzo (praescriptum), esordio
(exordium), riassunto di ciò che si sta per parlare (propositio),
esposizione dei fatti (narratio), prove (probationes) per
dimostrare la propria tesi o per demolire quella dell’avversario, esortazione e
conclusione. Iniziano generalmente con un prescritto, costituito dal mittente,
dal destinatario e dal saluto, seguito da un proemio. Segue quindi il corpo
della lettera, dove si sviluppano temi teologici ed etici con spunti polemici e
apologetici, ma non si descrivono né gli avvenimenti storici relativi all'esistenza
terrena di Gesù ed ai suoi insegnamenti, né i numerosi miracoli da lui
compiuti. Paolo non racconta né la vita né l’insegnamento specifico del Cristo,
la cui vicenda, narrata nei successivi vangeli, è stata interpretata alla luce
della teologia paolina. L’eloquio di Paolo, più che dimostrare, intende colpire
la fantasia e il sentimento del lettore. La fede escatologica (cioè la speranza
di vita oltre la morte) s’integra con la storia della salvezza attuata dal
Cristo Gesù, messia spirituale, diverso dal re messia liberatore atteso dai
giudei. Il saluto finale è spesso sostituito da un augurio o integrato con una
dossologia (preghiera di lode e glorificazione di Dio). Si discute
sull'autenticità delle lettere paoline. Le lettere indirizzate ai Romani, ai
Galati, ai Filippesi, a Filemone, le due lettere ai Corinzi e la prima ai
Tessalonicesi, si ritengono scritte da Paolo. In esse si palesa
(implicitamente) il riconoscimento della divinità di Gesù, distinguendolo da
Dio Padre e dallo Spirito Santo. Le altre epistole, invece, sono verosimilmente
pseudo-epigrafe, cioè scritte sotto il nome di Paolo allo scopo di conferire a
esse maggiore autorevolezza. Le lettere alle sette “chiese” (di Roma, Corinto,
Efeso, Galazia, Filippi, Colossi, Tessalonica) si differenziano dalle tre
pastorali, dirette a capi di comunità (a Timoteo, a Tito, a Filemone) e dalla
lettera agli Ebrei, di ispirazione paolina.
Il numero
sette ricorre spesso tra i simboli del Nuovo Testamento. Particolare rilievo ha
nel libro di Apocalisse, dove questo numero ricorre per più di cinquanta volte
(si parla infatti di sette Chiese, di sette corna del drago, di sette coppe
dell’ira, di sette candelabri, di sette trombe, di sette spiriti, del libro dei
sette sigilli, ecc. ecc.). L’evangelista Luca riferisce che dal corpo di Maria
Maddalena, esorcizzata da Gesù, uscirono sette diavoli (la possessione
diabolica era concepita come causa o conseguenza di disordini morali).
L’evangelista Matteo riferisce che Pietro chiese a Gesù se doveva perdonare il
prossimo fino a sette volte; l’altro rispose che doveva perdonarlo fino a
settanta volta sette. Il simbolo del sette è presente nel cristianesimo con i
sette sacramenti (battesimo, comunione, cresima, confessione, matrimonio,
ordine, unzione: considerati segni efficaci dell'intervento di Dio nel mondo),
i sette doni dello Spirito Santo (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza,
scienza, pietà e timor di Dio), i sette peccati capitali (gola, lussuria,
avarizia, superbia, accidia, invidia e ira), le sette virtù: 4 cardinali
(forza, sapienza, giustizia e temperanza) e 3 teologali (fede, speranza e
carità). Non mancano le sette richieste espresse nella preghiera del
Padrenostro e i sette dolori di Maria, elevata a divinità quale Madre di Dio,
ossia di Gesù. Sette erano i pianeti, sette le arti liberali, sette le note
musicali, sette i colori dell’arcobaleno. Il simbolo del sette è ossessivo tra
gli ebrei, tanto che il riposo del sabato nel settimo giorno, prescritto nel
Decalogo, assume la connotazione terribile del tabù (è preferibile la morte
piuttosto che la difesa dai nemici nel giorno del riposo, violando la Legge).
Il numero sacro del sette ricorre in tutta la Bibbia, a partire dalla
cosmogonia, descritta nel libro del Genesi, in cui Dio completa la creazione in
sette giorni. La cosmogonia biblica ricalca luoghi comuni della mitologia
sumerica e babilonese. La simbologia del sette è presente anche nella mitologia
greca e romana.
Saulo/Paolo,
prima della sua conversione, perseguì la setta dei seguaci del Nazareno Gesù,
percepita dai giudei come eretica. Ad Antiochia, metropoli d’Oriente, si
costituirà la prima comunità dei credenti in Cristo, provenienti dall'ebraismo
e dal paganesimo, chiamati per la prima volta cristiani. Paolo è il primo
teologo della fede cristiana, slegata dal giudaismo. Egli si prodigò come
missionario presso le comunità giudaiche e pagane sparse nelle regioni
ellenizzate del mediterraneo. A causa dei pagani convertiti incirconcisi,
estranei alla tradizione ebraica, fu in dissidio con l’ortodossia seguita dalla
comunità dei giudeo-cristiani di Gerusalemme. Illuminato dalla teofania di
Cristo sulla via per Damasco, si convertì all'apostolato missionario tra i
pagani (le gentes), convertendoli alla nuova “paideia”, cioè
alla formazione etica e religiosa fondata sull'ethos (regola di vita)
cristiano, secondo una sua personale interpretazione. In verità, egli iniziò
dapprima il suo apostolato presso le comunità ebraiche, con scarso successo, a
causa dell’ostilità dei suoi connazionali, che lo giudicavano un apostata. Per
evitare rappresaglie nei suoi confronti, decise di cambiare aria, facendosi
apostolo delle genti. Portò a compimento tre viaggi missionari, durante i quali
subì vessazioni ed anche l’arresto (nel 58, a Gerusalemme) e la prigionia a
Roma (fino al 62) in attesa di essere giudicato. Il Vangelo, che predicò ai
pagani, era svincolato dalla stretta osservanza della legge ebraica. Lo adattò
alla mentalità delle diverse comunità cui era destinato: greche, romane e
giudaiche della diaspora. Della nascita miracolosa di Gesù e del suo
concepimento da una vergine, a sua volta concepita immacolata (cioè senza
peccato originale) per grazia ricevuta, Paolo tace; insiste invece sul miracolo
della resurrezione di Gesù (che però non impressionava i pagani, maestri nel
favoleggiare le gesta di essere divini). Egli, “vaso d’elezione” (illuminato
dalla grazia di Dio), si faceva servo di tutti pur di arruolare il maggior
numero di militi al seguito di Cristo. Chissà che non sia stato proprio lui l’Uomo
di Menzogna, di cui parlano i testi apocrifi, che si contrapponeva al Maestro
di Giustizia della comunità essena. Di Paolo, inventore del cristianesimo e suo
primo inconsapevole teologo, le fonti storiche coeve, non di tradizione
cristiana, tacciono.
Si ritiene
che le lettere paoline, in parte contraffatte, siano state scritte intorno agli
anni 50, mentre i Vangeli non prima degli anni 70. Gli evangelisti (nessuno dei
quali è stato testimone oculare) hanno elaborato e mitizzato i loro racconti
tenendo conto sia della tradizione giudaico-cristiana sia della teologia
revisionista di Paolo. Il cristianesimo che emerge dai vangeli, infatti, è
condizionato da un mix di messianismo, profetismo apocalittico, escatologismo,
pacifismo, filosofia ellenistica, misteriosofia, esoterismo iniziatico,
spiritualismo etico-religioso. Ciò potrebbe spiegare, in parte, perché in
questi testi si riscontrano divergenti posizioni ideologiche in contraddizione
tra loro. Rilevante è il disprezzo che Paolo manifesta per l’intelligenza e il
sapere della cultura pagana. Assillanti le sue esortazioni: quella alla
rassegnazione e all'accettazione della condizione sociale in cui ciascuno si
trova, perché essa deriva dalla volontà divina; quella all'obbedienza verso le
autorità costituite, perché ogni potere proviene da Dio. La politica cristiana
della sottomissione all'ordine e alle autorità temporali, coniugata
all'accettazione delle diseguaglianze sociali, frutterà alla Chiesa il
predominio teocratico, quando l’imperatore Costantino, auto-proclamatosi
tredicesimo apostolo, diverrà il braccio armato dello Stato totalitario in nome
di Dio.
Lucio Apulo
Daunio