L’EBREO
GESU’ TRA MITO E STORIA
"Rari
e felici i tempi in cui è permesso di pensare ciò che si vuole, e di dire ciò
che si pensa" (Tacito, Historiae, I,1)
LA CRITICA NON CONOSCE TESTI INFALLIBILI (Ernest Renan)
LA CRITICA NON CONOSCE TESTI INFALLIBILI (Ernest Renan)
Si ritiene, dal punto di vista della
ricerca storica, che possa essere esistito un ebreo di nome Gesù, vissuto in
Palestina nel I secolo dell’era volgare, maestro e predicatore itinerante,
crocefisso a Gerusalemme dal procuratore romano della Giudea durante il regno
dell’imperatore Tiberio. L’esistenza storica di Gesù poggia sulla
documentazione a noi pervenuta (non abbiamo fonti scritte direttamente da Gesù
né da testimoni oculari, ma soltanto copie di copie di traduzioni in greco,
derivanti da fonti scritte in aramaico o risalenti a tradizioni orali,
tramandate dalle varie comunità cristiane). Gli scritti (ritenuti) canonici,
che compongono il Nuovo Testamento, attestano che Gesù fu considerato un profeta
apocalittico, che pronosticava l’imminente fine della storia e l’avvento del
Regno di Dio. Egli predicava al popolo esprimendosi nella lingua aramaica
allora in uso tra gli ebrei della Palestina.
L’ebreo
Giuseppe Flavio c’informa (nelle opere “Guerra Giudaica” e “Antichità
Giudaiche”) che Ponzio Pilato fu prefetto romano della Giudea dall’anno 26
all'anno 36 dell’era volgare e che fu coinvolto direttamente nelle vicende di
Gesù, di cui si limita ad accennare brevi notizie (che molti studiosi, ritengono
siano state alterate o interpolate dai copisti, quindi reputate scarsamente
attendibili). Accenna anche a Giovanni Battista e a Giacomo, fratello di Gesù.
Altri cenni su Pilato si trovano nelle opere di Filone di Alessandria e dello
storico romano Tacito.
Le Epistole
(ritenute autentiche) scritte dall’apostolo Paolo sono i documenti più antichi
del Nuovo Testamento. Si ritengono che siano state redatte tra gli anni
cinquanta e sessanta, circa vent’anni dopo l’anno presumibile della morte di
Gesù (30 dell’era volgare). La sua conversione deve essere avvenuta qualche
anno dopo tale data. Prima della sua conversione, Paolo era stato un
persecutore della setta cristiana, perché questi credevano che Gesù fosse il
Messia atteso, Figlio di Dio, da lui risuscitato dalla morte e assunto in cielo
alla destra del Padre. Per un ebreo come Paolo questa credenza era blasfema.
Gli ebrei, infatti, attendevano un profeta inviato da Dio, discendente della
stirpe di Davide. Egli sarebbe stato l’unto del Signore, predestinato a
sollevare la potenza d’Israele, liberandola dai suoi nemici, prima di
insediarsi sul trono per regnare in perpetuo. Altri ebrei, invece, credevano
che il Messia sarebbe stato un potente sacerdote designato a governare il
popolo d’Israele. Gesù, invece, giacché proveniva da una povera famiglia di
artigiani della Galilea ed era stato crocefisso come un criminale, non poteva
essere, secondo le Sacre Scritture, il Messia atteso, l’unto di Dio, ma un
maledetto da Dio. Questo è ciò che verosimilmente avrebbe pensato Paolo prima
della sua conversione.
Dalle
Epistole di Paolo, scritte parecchi anni dopo la sua conversione, si desume che
egli fosse certo dell’esistenza storica di Gesù, della sua missione come Messia
presso gli ebrei, della sua condanna alla crocifissione, eseguita dall’autorità
romana su istigazione dell’opposizione giudaica. Paolo, infatti, si era
convinto che Gesù fosse il Cristo (Messia), il re atteso dagli ebrei,
discendente dalla stirpe di Davide secondo la carne. Egli accenna ai fratelli di
sangue di Gesù (indicati nel Vangelo secondo Marco) e alle sue sorelle. Ha
conosciuto personalmente Giacomo, fratello di Gesù. A Gerusalemme ha trascorso
con lui e con l’apostolo Pietro quindici giorni, acquisendo da loro conoscenze
su Gesù. Sa che Gesù aveva dodici discepoli. Sa che fu un maestro, perché
riporta talune sue massime. Conosce la tradizione sull’Ultima Cena di Gesù,
consumata nella notte in cui fu arrestato. Crede che sia risorto dalla morte e
apparso ai suoi discepoli. Crede nell’imminenza dell’ira divina nel mondo e
nell’avvento del Risorto per giudicare i vivi e i morti.
Gli Atti
degli Apostoli, redatti sotto il nome dell’evangelista Luca, descrivono,
principalmente, l’attività missionaria di Pietro e di Paolo e riportano taluni
loro discorsi, derivanti dalla tradizione orale. Si trovano notizie attinte da
fonti indipendenti da quelle utilizzate dai redattori dei quattro vangeli. Un
esempio è il racconto della morte di Giuda, che differisce da quello riportato
nel Vangelo secondo Matteo. Si ha quindi negli Atti un’altra fonte indipendente
da cui, insieme con le altre, può verosimilmente dedursi l’esistenza storica di
Gesù. Nei discorsi di Pietro, Gesù è un uomo accreditato da Dio presso il
popolo ebraico per operare prodigi in mezzo a loro, ma fu accusato e condannato
a morte sulla croce. Dio però lo ha liberato dalla morte, risuscitandolo e
costituendolo Signore e Messia per la salvezza d’Israele, nonché giudice dei
vivi e dei morti. Nel discorso attribuito dall'autore al discepolo Stefano, Gesù
è il Figlio dell’uomo che è stato elevato alla destra di Dio. Nei discorsi di
Paolo, Gesù è il salvatore d’Israele, mediante il quale ottenere l’intera
giustificazione (redenzione dell’uomo dalla condizione di peccatore), essendo
insufficiente a tal fine la Legge di Mosè. Dio, inoltre, risuscitando Gesù, lo
ha accreditato di fronte a tutti, designando lui, uomo, a giudicare il mondo
con giustizia. Gesù, quindi, appare piuttosto come un uomo che ha ricevuto
poteri divini, non come Dio. Si può da ciò dedurre che solo con l’andar del
tempo le comunità cristiane hanno creduto che Gesù fosse Figlio di Dio sin
dall’eternità, sceso sulla terra per redimere il genere umano. Altri, invece,
diversamente da Paolo, sostenevano che Gesù fosse diventato Figlio di Dio
perché era stato da lui adottato. Nel Vangelo secondo Luca, Gesù sarà chiamato
Figlio di Dio, perché nato da una madre vergine, ingravidata dallo Spirito di
Dio. Dio stesso, secondo Luca, testimonierà riguardo al Figlio, quando questi
riceverà il battesimo da Giovanni Battista, inviando su di lui lo Spirito Santo
nella forma di una colomba. Paolo, nella sua Epistola ai Romani, richiamando
un’altra tradizione, dice che Gesù fu costituito Figlio di Dio, quindi Messia e
Salvatore, dopo la risurrezione dalla morte. Questa tradizione trova conferma
anche nel discorso di Paolo ad Antiochia, riportato negli Atti degli Apostoli,
dove Dio lo genera come suo Figlio nel giorno della risurrezione.
I quattro
vangeli canonici si ritengono che siano stati redatti e rimaneggiati da diverse
comunità cristiane oltre trent’anni dopo i fatti ivi narrati. Quello che si
ritiene sia il più antico dei vangeli, è stato redatto sotto il nome di Marco,
compagno dell’apostolo Pietro. Essendo destinato alla comunità romana di
formazione pagana, risente dell’influenza della cultura occidentale. I
redattori di altri due vangeli, scritti sotto i nomi di Matteo (un apostolo di
Gesù) e Luca (compagno di Paolo) almeno un decennio dopo il Vangelo secondo
Marco, hanno solo in parte attinto le notizie da questo vangelo. Per il resto
hanno utilizzato fonti diverse, indipendenti l’una dall’altra. Forniscono
quindi resoconti alternativi sulla vicenda di Gesù. Quello secondo Matteo è
stato redatto in ambiente di cultura giudaica e riflette le attese religiose
del giudaismo messianico (credenza nell’imminente fine del mondo, seguita da un
rinnovamento universale). Quello secondo Luca (pare che fosse un medico pagano
di formazione classica) risente, in parte, della predicazione di Paolo.
L’ultimo vangelo, quello secondo Giovanni (nome dell’apostolo di Gesù), scritto
intorno alla fine del secolo, è quasi del tutto indipendente dagli altri tre.
Negli anni
precedenti la stesura dei vangeli canonici, dovettero circolare diverse notizie
su Gesù, fondate sia sulla trasmissione orale sia su vari scritti in aramaico,
che furono diversamente interpretati dalle varie comunità cristiane. E’
verosimile che molti episodi siano stati ampliati o inventati a scopo di
propaganda o adattati all’ambiente culturale delle varie comunità.
I vangeli
apocrifi (come quelli attribuiti a Tommaso e a Pietro), scritti in epoca
successiva, attingono a fonti indipendenti da quelle che hanno utilizzato i
redattori dei vangeli canonici. I vangeli apocrifi, in genere, trattano aspetti
leggendari della vicenda di Gesù.
Le Lettere
cattoliche, scritte sotto il nome degli apostoli Giacomo, Giovanni, Pietro,
Giuda, e le Epistole pseudoepigrafe, che sono state attribuite a Paolo, sono in
parte un compendio di precedenti fonti, per il resto forniscono notizie
indipendenti. La Lettera agli Ebrei è anonima e ha contenuto teologico. Altre
testimonianze indipendenti sono reperibili nei frammenti di papiri superstiti.
Anche l’eccentrica Apocalisse, attribuita all’evangelista Giovanni, ha notizie
attinte da fonti diverse. L’autore dell’Apocalisse testimonia l’esistenza di un
ebreo della tribù di Giuda, che soffrì per la salvezza dell’umanità e fu
crocefisso per obbedienza a Dio, senza avere da lui conforto.
Tra le fonti
non cristiane, se escludiamo l’ipotesi di falsificazioni da parte di copisti
cristiani, abbiamo la lettera all’imperatore Traiano scritta all’inizio del II
secolo da Plinio il Giovane, governatore della Bitinia (provincia romana
nell’odierna Turchia). Plinio informa che i cristiani si riunivano illegalmente
per cantare al mattino un inno a Cristo come se fosse un dio e per mangiare
pasti in comune. La credenza nell’esistenza di Cristo (epiteto di Gesù),
dunque, era già diffusa agli inizi del II secolo. Nella Vita dei Cesari, opera
scritta tra il 119 e il 121 dell’era volgare dal biografo romano Svetonio,
amico di Plinio il Giovane, leggiamo che l’imperatore Claudio espulse gli ebrei
da Roma (forse all’inizio del suo regno nell’anno 41), poiché provocavano
tumulti su istigazione di Chrestus (erroneamente scritto, invece di Christus).
L’espulsione degli ebrei è confermata negli Atti degli Apostoli (At 18, 1-2). Verosimilmente
erano tumulti scoppiati tra la comunità giudaica romana, ostile alla setta dei
cristiani. Questi erano dai romani assimilati ai giudei. Ciò conferma che il
cristianesimo era già conosciuto tra gli ebrei dimoranti a Roma circa un
decennio dopo la tradizionale morte di Cristo. Nella biografia di Nerone,
Svetonio accenna alla persecuzione dei cristiani, definiti “nuova e malefica
superstizione”, avvenuta nell’anno 64 dell’era volgare, ma senza collegarla
all’incendio della città. Dell’incendio ne parla Tacito nei suoi “Annali”
(scritti tra il 108 e il 110), spiegando che i cristiani, essendo oggetto di
comune diffamazione a causa del loro odio del genere umano, furono falsamente
accusati da Nerone di aver provocato l’incendio che distrusse molti quartieri
di Roma. Aggiunge che il nome Chrestianos derivava da Christus, che sotto il
regno di Tiberio fu mandato a morte dal procuratore Ponzio Pilato. Prosegue
rilevando che la funesta superstizione, repressa da Nerone per breve tempo,
riprendeva poi forza non solo in Giudea, luogo d’origine di quel male, ma anche
nell’urbe, dove atrocità e vergogne confluiscono da ogni luogo e ivi trovano
seguaci. I tre citati autori romani, dunque, attestano che al principio del II
secolo i cristiani adoravano come dio un ebreo, denominato Cristo, giustiziato
in Giudea da Ponzio Pilato.
Scarsamente
indicative sono le citazioni sui cristiani da parte di Tallo, di Sesto Giulio
Africano e di Flegonte di Tralles, riportate dallo scrittore cristiano (della
cui correttezza d’informazione si dubita) Eusebio di Cesarea. Scarsamente
attendibili sono le citazioni riportate in alcuni testi di origine ebraica (come
nel Talmud babilonese). Discutibile è la citazione “il saggio re dei giudei”
riferibile a Gesù nella lettera al figlio dello stoico siriano Mara
Bar–Serapione (Mara figlio di Serapione). Tra le fonti di origine greca, che
criticano la religione cristiana, abbiamo gli scritti di Luciano di Samosata
(autore del II secolo, polemico nei confronti di ogni forma d’impostura e
mistificazione, specialmente religiosa) e il perduto scritto (Discorso
Veritiero) del filosofo Celso, ricostruibile attraverso i passi riportati nella
confutazione di Origene.
La Prima
lettera ai Corinzi, attribuita a Clemente, vescovo di Roma, stilata verso la
fine del I secolo, testimonia l’esistenza umana di Gesù Cristo, inviato da Dio,
che si è sacrificato per la nostra redenzione.
Il vescovo
Papia, all’inizio del II secolo, nei frammenti a noi pervenuti attraverso la
“Storia ecclesiastica” di Eusebio, racconta di aver raccolto testimonianze
provenienti dai discepoli di Gesù e da questi tramandate oralmente ai loro
successori. Su Marco dice che, divenuto interprete di Pietro, scrisse senza
ordine tutto quanto Pietro ricordava delle cose dette e fatte da Gesù. Su
Matteo dice che raccolse i detti in lingua ebraica, che poi ognuno tradusse,
interpretandoli come poteva.
Il vescovo
Ignazio di Antiochia scrisse all’inizio del II secolo sei lettere alle Chiese
dell’Asia Minore e una alla comunità cristiana di Roma. Nelle sue epistole
condanna i docetisti, cioè quei cristiani che negavano l’umanità di Cristo,
convinti che egli fosse Dio sulla terra, essendo la sua incarnazione solo
apparente. Egli credeva nell’incarnazione reale di Gesù e che lo stesso fosse
stato perseguitato e crocefisso sotto Ponzio Pilato.
Le diverse e
contrastanti notizie riportate dalle fonti sopra indicate vanno distinte tra
quelle affidabili e quelle non affidabili sul piano storico. Le notizie che
possono essere ritenute aventi una qualche affidabilità storica sono:
- che sia
esistito un maestro ebreo apocalittico di nome Gesù, nativo di un piccolo
villaggio della Galilea;
- che sia
vissuto nei primi decenni del I secolo dell’era volgare nella Palestina sotto
il dominio romano;
- che in
Palestina al tempo di Gesù vi furono dissensi tra Samaritani, Farisei, Sadducei
(considerati collaboratori dei romani), Esseni e religiosi messianici (che
fomentavano una rivolta politica e militare contro gli invasori romani);
- che Gesù
fu discepolo di Giovanni Battista, che prefigurava l’imminente fine dei tempi;
- che
predicò agli ebrei con parabole un messaggio sull’imminenza dell’avvento del
regno di Dio e sulla sconfitta delle forze del male che controllavano il mondo;
- che ebbe
diversi discepoli;
- che
esortava i seguaci ad abbandonare famiglia, casa, attività allo scopo di
occuparsi esclusivamente dell’imminente avvento del regno di Dio;
- che si
riteneva fosse capace di guarire gli infermi, scacciare i demoni e risuscitare
i morti;
- che non
disdegnava di frequentare poveri, emarginati e prostitute;
- che ebbe
dissensi con le autorità giudaiche provocando scompigli;
- che fu da
esse accusato presso il tribunale romano di blasfemia, sedizione e alto
tradimento;
- che fu
tradito da un suo discepolo;
- che fu
condannato alla crocifissione da Ponzio Pilato per essersi dichiarato “re dei
giudei”;
- che il suo
messaggio fu elaborato e divulgato dai suoi discepoli anche fuori d’Israele,
dove continuarono i dissidi dottrinali tra cristiani e giudei.
Molte altre
notizie sulla vicenda di Gesù, desumibili dalle suddette fonti, potrebbero
essere o mere invenzioni dottrinali o fantasiose esagerazioni a scopo di
propaganda. Occorre perciò verificare ogni singolo episodio per affermare o
negare l’attendibilità storica degli eventi. Ad esempio, non appaiono
storicamente affidabili le seguenti notizie di aspetto leggendario o d'interpretazione
teologica:
- che Gesù
sia nato a Betlemme a causa di un censimento che avrebbe obbligato la sacra
famiglia a spostarsi dalla Galilea alla Giudea;
- che sia
nato da una donna sempre vergine e senza peccato, ingravidata dallo Spirito
Santo;
- che Gesù
sia l’incarnazione del Figlio di Dio, seconda ipostasi della Trinità divina,
imperante ab aeterno nel Regno dei
cieli e inviato dal Padre sulla terra a redimere l’umanità;
- che abbia
compiuto prodigi, guarigioni miracolose e risuscitazioni di cadaveri;
- che sia
risorto dalla morte e asceso in cielo, dove risiede alla destra del Padre.
Del tutto
inattendibili sono talune presunte reliquie (come il prepuzio asportato a Gesù
con la circoncisione o i legni della croce e i chiodi con cui è stato affisso o
il calco della sua immagine sulla sindone), conservate e venerate nelle chiese
cattoliche.
Dalla
persona del Gesù storico, dunque, va distinta la successiva reinvenzione
dottrinale e dogmatica della Chiesa docente, cioè il cristianesimo teologico
del cattolicesimo, che interpreta i presunti avvenimenti reali caricandoli di
(cioè sostituendoli con) significati, figure, verità di fede, presunti disegni
divini, visione unitaria e provvidenziale della storia, cui attribuisce valore
universale. Ciò che può essere oggetto di fede per i credenti, lo è di critica
per i non credenti, a ragione del male compiuto dalla religione cristiana nel
corso della sua millenaria storia (fermo restando la positività per le buone
opere compiute e che compie) e delle tante assurdità teologiche e dogmatiche
(come la credenza nella resurrezione dei corpi, che saranno ricongiunti
all’anima alla fine dei tempi, o come la credenza nella favola dell’inferno per
i probi e del paradiso per i meritevoli o come il dogma dell’infallibilità del
papa).
Altri
studiosi, critici della figura storica di Gesù, ritengono che la sua
esaltazione sia dovuta a un processo di progressiva storicizzazione di
personaggi mitici, come Horus, Mitra, Attis, Zarathustra, ecc. A partire dal IV
secolo, anche la madre di Gesù fu mitizzata nell’archetipo della Grande Madre,
venerata sin dai primordi dell’umanità come dea partenogenica, onnipotenza
generatrice di tutti gli esseri viventi e di figli divini. Dopo il Concilio di
Efeso del 431, la madre di Gesù è venerata come theotokos, colei
che ha partorito la divinità, cioè Madre di Dio.