venerdì 28 settembre 2012


IL PENSIERO MUSULMANO NEL MEDIOEVO

 

L’Islàm fonda le sue radici sulla tradizione religiosa ebraico-cristiana, non su quella classica greco-romana. I califfi successori di Maometto assoggettarono ebrei e cristiani, protetti e tollerati in quanto popoli del Libro, cioè credenti nelle rivelazioni di Dio ai profeti che avevano preceduto Maometto. A vescovi e rabbini fu concesso un certo grado di giurisdizione civile, giacché il diritto islamico non si occupava dei non musulmani.

L’Islam ha in comune, con l’ebraismo e il cristianesimo, il monoteismo (escludendo, per quanto concerne il cristianesimo, l’incarnazione del Figlio di Dio e la fede nella Trinità divina), ma anche la creazione dal nulla, l’orazione pubblica e privata, la carità, il digiuno, l’etica sociale e personale. Con l’ebraismo l’Islam ha in comune le restrizioni alimentari e la pratica della circoncisione; con il cristianesimo ha in comune l’universalità del messaggio da promuovere con l’attività missionaria (il Corano, in verità, prescrive la diffusione della fede anche per mezzo della spada) e la credenza nella resurrezione del corpo nell’aldilà (ma il Paradiso islamico è diverso da quello dei cristiani perché prevede ricompense sia materiali sia spirituali). L’Islam ha ereditato dal paganesimo pre-islamico il sistema patriarcale e la concezione dell’inferiorità della donna (socialmente segregata e giuridicamente discriminata, è obbligata a portare il velo in pubblico ed è persino esclusa dai piaceri fisici nel godereccio aldilà musulmano), la poliginia nella forma della poligamia, la legittimità del concubinaggio, il pellegrinaggio al santuario della Mecca, certe forme di superstizione (come la venerazione della pietra nera) e la visione fatalistica della vita. Dalle popolazioni asiatiche assoggettate i musulmani appresero le tecniche del misticismo (sufismo), della contemplazione e dell’estasi.

L’arabo, scrittura del Corano, divenne la lingua ufficiale nei territori musulmani. Nei territori del Medio Oriente ebbe particolare importanza il persiano. Minore influenza ebbero le lingue e le letterature greco-romane a causa delle diversità linguistiche. Soltanto pochi colti mussulmani ebbero interesse per la scienza e la filosofia greca. Essi trovarono sostegno ufficiale e compirono cospicui progressi fino al X secolo. Dall’XI secolo nei territori islamici furono istituite le Madrasse per lo studio avanzato delle materie prettamente religiose. Dal XII secolo in poi la filosofia fu addirittura considerata estranea al pensiero musulmano. Dei progressi del pensiero speculativo musulmano ne beneficiò invece l’Europa occidentale, mediante le traduzioni dei testi scientifici e filosofici nella lingua greca e latina. La formazione culturale musulmana s’incentrava sulla memorizzazione meccanica del Corano e sull’apprendimento della lingua araba. Il processo formativo dei musulmani non prevedeva il confronto libero e diretto tra sostenitori di differenti posizioni.

Dal secolo VIII la letteratura araba pre-islamica, che era trasmessa oralmente e che includeva l’epica, la lirica e la poesia gnomica, fu messa per iscritto. Essa rispecchiava la cultura tribale e seminomade degli arabi e serviva a dare lustro e divertimento presso le corti dei califfi. L’epica era strutturata sulle genealogie dei protagonisti, le faide tra le varie tribù, l’abilità bellica, la fedeltà a un codice d’onore che richiedeva la vendetta delle offese. La lirica trattava argomenti popolari come il vino e l’amore. I poemi gnomici erano costruzioni di un insieme di proverbi. La prima opera araba in prosa ritmica fu il Corano, la divina parola trasmessa in più tempi al profeta Maometto. La trama del Corano non è narrativa come la Bibbia o i Vangeli. Il testo si presenta al lettore in versi senza un ordine tematico e cronologico. I versi più brevi, che furono rivelati prima, si trovano dopo i versi più lunghi di epoca posteriore. Generi nuovi della letteratura araba, come la storia e le favole, furono ereditati dalla letteratura persiana. Le conquiste musulmane nell’ambito delle materie scientifiche, a iniziare dal tardo VIII secolo, trovano fondamento nelle traduzioni in arabo dei testi greci, per il tramite del siriano, eseguite dai sudditi cristiani dei califfi. Il matematico più creativo del medioevo islamico fu al-Kwarizmi (780-850). Egli derivò il concetto dello zero e quello dei numeri (c.d. arabi) dall’India e diede importanti contributi nell’aritmetica e nell’algebra. Un contributo decisivo alla ricerca in musicologia lo diede al-Farabi (870-950). La matematica fu anche applicata all’astronomia, che allora era associata all’astrologia. L’astronomia serviva a predire la cadenza delle feste religiose mobili e dei digiuni nel mese di Ramadan, secondo il calendario lunare. Nel campo delle scienze naturaliste primeggiò al-Biruni (973-1048), il più grande scienziato del medioevo, matematico, astronomo, cartografo, filosofo e studioso di culture straniere; in quello della medicina, al Razi (865-925); nella medicina e nella filosofia, Avicenna (980-1037). La formazione di Avicenna fu conseguita, tramite istruttori privati, nel suo tempo libero dal lavoro, giacché l’Islam non aveva un sistema scolastico nelle materie secolari. La scienza musulmana era esclusivamente finalizzata alle pratiche applicazioni non alla pura ricerca. Nell’Islam è mancata l’integrazione tra filosofia e cultura religiosa. La teologia musulmana aveva già fatto progressi prima che fosse disponibile l’accesso alla filosofia greca. Un importante dibattito teologico riguardava il problema del libero arbitrio, fondato sui versi del Corano, che pongono l’accento sulla giustizia divina nei confronti della volontà virtuosa, quindi del bene, ricompensata nell’aldilà, a differenza di quella disdicevole, quindi del male, severamente punita. In opposizione al libero arbitrio si pone la concezione della predestinazione, in parte derivante dal fatalismo pre-islamico, in parte dai versi del Corano, che inneggiano all’onnipotenza e onniscienza di Dio e al suo controllo su tutto (a tutto provvede e di ogni cosa dispone in modo assoluto: l’uomo non può volere nulla se Dio non lo vuole).

Nel periodo abbaside (a iniziare dall’anno 750), quando la filosofia greca divenne disponibile in arabo, emerse il movimento della teologia mutikallimum, termine derivante da kalam, che significa “argomentazione ragionata”, le cui diverse scuole utilizzarono singole idee filosofiche o per la difesa del monoteismo radicale o per sostenere la predestinazione e negare il libero arbitrio o, viceversa, per affermare il libero arbitrio e negare la predestinazione. Una filosofia separata dalla teologia era il falsafah, che consisteva nei tentativi razionali e intellettuali per comprendere le leggi e i principi universali. Ne fu promotore al-Kindi (800-866), detto “il filosofo degli arabi”, matematico, medico, astronomo, geografo, musicista, sperimentatore e creatore di una metodologia scientifica, che sviluppò un pensiero filosofico fondato sulle dottrine di Plotino e di Porfirio e sul concetto aristotelico dell’intelletto agente. Al-Farabi (870-950) derivò la sua teoria politica da Platone (reinterpretando il califfo come il re filosofo della “Repubbica”), la metafisica e la cosmologia dai neoplatonici, la logica e l’analisi dell’intelletto umano da Aristotele. Avicenna (980-1037) fu il filosofo più originale dell’alto medioevo islamico. Egli per un verso cercò di unire la filosofia alla teologia, senza trascurare la pura ricerca filosofica. Da Aristotele assunse il principio che l’uomo trae informazioni valide dai dati sensibili e li elabora in proposizioni concettuali che mettono in relazione causa ed effetti. Per avere la certezza di qualcosa non è sufficiente avere della medesima un’idea nella mente, se a tale idea non corrisponde la realtà extra-mentale. Lo sforzo sistematico di integrare la filosofia alla teologia e al sufismo (misticismo) fu compiuto da al-Ghazali (1058-1111). Egli obiettò contro taluni filosofi che la loro concezione dell’eternità del mondo portava alla negazione degli attributi divini, come l’onnipotenza e la volontà. Il mondo, invece, è stato creato dalla volontà eterna di Dio, cioè dalla sua eterna determinazione, ma in un momento finito del tempo. Direttamente da Dio, inoltre, è derivata anche la molteplicità del mondo. Ultimo brillante filosofo fu Averroè (1126-1198), fautore dello studio filosofico separato dalla teologia e di una doppia verità. In realtà, con riferimento ai tre modelli di dimostrazione descritti da Aristotele, Egli pensa che ci siano tre strade che conducono a una medesima verità. Il primo tipo di argomentazione è l’esortazione, che consiste nell’aderire per fede alla legge coranica, in quanto verità rivelata da Dio a Maometto. Il secondo tipo di argomentazione è la dialettica, il metodo adottato dai teologi che combina la fede con la ragione mediante premesse probabili e conclusioni altrettanto probabili. Il terzo tipo di argomentazione è la rigorosa dimostrazione, il metodo proprio dei filosofi, basato su prove verificabili deduttivamente ed empiricamente, che generano certezza scientifica. I teologi musulmani ortodossi rigettarono non solo la dottrina di Averroè ma tutto il metodo di argomentazione elaborato dai precedenti filosofi, perché giudicarono il falsafah incompatibile con la fede musulmana.

Lucio Apulo Daunio