IL PENSIERO MUSULMANO NEL MEDIOEVO
L’Islàm fonda
le sue radici sulla tradizione religiosa ebraico-cristiana, non su quella
classica greco-romana. I califfi successori di Maometto assoggettarono ebrei e
cristiani, protetti e tollerati in quanto popoli del Libro, cioè credenti nelle
rivelazioni di Dio ai profeti che avevano preceduto Maometto. A vescovi e
rabbini fu concesso un certo grado di giurisdizione civile, giacché il diritto
islamico non si occupava dei non musulmani.
L’Islam ha in
comune, con l’ebraismo e il cristianesimo, il monoteismo (escludendo, per
quanto concerne il cristianesimo, l’incarnazione del Figlio di Dio e la fede
nella Trinità divina), ma anche la creazione dal nulla, l’orazione pubblica e
privata, la carità, il digiuno, l’etica sociale e personale. Con l’ebraismo
l’Islam ha in comune le restrizioni alimentari e la pratica della
circoncisione; con il cristianesimo ha in comune l’universalità del messaggio
da promuovere con l’attività missionaria (il Corano, in verità, prescrive la
diffusione della fede anche per mezzo della spada) e la credenza nella
resurrezione del corpo nell’aldilà (ma il Paradiso islamico è diverso da quello
dei cristiani perché prevede ricompense sia materiali sia spirituali). L’Islam
ha ereditato dal paganesimo pre-islamico il sistema patriarcale e la concezione
dell’inferiorità della donna (socialmente segregata e giuridicamente
discriminata, è obbligata a portare il velo in pubblico ed è persino esclusa
dai piaceri fisici nel godereccio aldilà musulmano), la poliginia nella forma
della poligamia, la legittimità del concubinaggio, il pellegrinaggio al
santuario della Mecca, certe forme di superstizione (come la venerazione della
pietra nera) e la visione fatalistica della vita. Dalle popolazioni asiatiche
assoggettate i musulmani appresero le tecniche del misticismo (sufismo), della
contemplazione e dell’estasi.
L’arabo,
scrittura del Corano, divenne la lingua ufficiale nei territori musulmani. Nei
territori del Medio Oriente ebbe particolare importanza il persiano. Minore
influenza ebbero le lingue e le letterature greco-romane a causa delle
diversità linguistiche. Soltanto pochi colti mussulmani ebbero interesse per la
scienza e la filosofia greca. Essi trovarono sostegno ufficiale e compirono
cospicui progressi fino al X secolo. Dall’XI secolo nei territori islamici
furono istituite le Madrasse per lo studio avanzato delle materie prettamente
religiose. Dal XII secolo in poi la filosofia fu addirittura considerata
estranea al pensiero musulmano. Dei progressi del pensiero speculativo
musulmano ne beneficiò invece l’Europa occidentale, mediante le traduzioni dei
testi scientifici e filosofici nella lingua greca e latina. La formazione
culturale musulmana s’incentrava sulla memorizzazione meccanica del Corano e
sull’apprendimento della lingua araba. Il processo formativo dei musulmani non
prevedeva il confronto libero e diretto tra sostenitori di differenti
posizioni.
Dal secolo
VIII la letteratura araba pre-islamica, che era trasmessa oralmente e che
includeva l’epica, la lirica e la poesia gnomica, fu messa per iscritto. Essa
rispecchiava la cultura tribale e seminomade degli arabi e serviva a dare
lustro e divertimento presso le corti dei califfi. L’epica era strutturata
sulle genealogie dei protagonisti, le faide tra le varie tribù, l’abilità bellica,
la fedeltà a un codice d’onore che richiedeva la vendetta delle offese. La
lirica trattava argomenti popolari come il vino e l’amore. I poemi gnomici
erano costruzioni di un insieme di proverbi. La prima opera araba in prosa
ritmica fu il Corano, la divina parola trasmessa in più tempi al profeta
Maometto. La trama del Corano non è narrativa come la Bibbia o i Vangeli. Il
testo si presenta al lettore in versi senza un ordine tematico e cronologico. I
versi più brevi, che furono rivelati prima, si trovano dopo i versi più lunghi
di epoca posteriore. Generi nuovi della letteratura araba, come la storia e le
favole, furono ereditati dalla letteratura persiana. Le conquiste musulmane
nell’ambito delle materie scientifiche, a iniziare dal tardo VIII secolo, trovano
fondamento nelle traduzioni in arabo dei testi greci, per il tramite del
siriano, eseguite dai sudditi cristiani dei califfi. Il matematico più creativo
del medioevo islamico fu al-Kwarizmi (780-850). Egli derivò il concetto dello
zero e quello dei numeri (c.d. arabi) dall’India e diede importanti contributi
nell’aritmetica e nell’algebra. Un contributo decisivo alla ricerca in
musicologia lo diede al-Farabi (870-950). La matematica fu anche applicata
all’astronomia, che allora era associata all’astrologia. L’astronomia serviva a
predire la cadenza delle feste religiose mobili e dei digiuni nel mese di
Ramadan, secondo il calendario lunare. Nel campo delle scienze naturaliste
primeggiò al-Biruni (973-1048), il più grande scienziato del medioevo, matematico,
astronomo, cartografo, filosofo e studioso di culture straniere; in quello
della medicina, al Razi (865-925); nella medicina e nella filosofia, Avicenna
(980-1037). La formazione di Avicenna fu conseguita, tramite istruttori
privati, nel suo tempo libero dal lavoro, giacché l’Islam non aveva un sistema
scolastico nelle materie secolari. La scienza musulmana era esclusivamente
finalizzata alle pratiche applicazioni non alla pura ricerca. Nell’Islam è
mancata l’integrazione tra filosofia e cultura religiosa. La teologia musulmana
aveva già fatto progressi prima che fosse disponibile l’accesso alla filosofia
greca. Un importante dibattito teologico riguardava il problema del libero
arbitrio, fondato sui versi del Corano, che pongono l’accento sulla giustizia
divina nei confronti della volontà virtuosa, quindi del bene, ricompensata
nell’aldilà, a differenza di quella disdicevole, quindi del male, severamente
punita. In opposizione al libero arbitrio si pone la concezione della
predestinazione, in parte derivante dal fatalismo pre-islamico, in parte dai
versi del Corano, che inneggiano all’onnipotenza e onniscienza di Dio e al suo
controllo su tutto (a tutto provvede e di ogni cosa dispone in modo assoluto:
l’uomo non può volere nulla se Dio non lo vuole).
Nel periodo
abbaside (a iniziare dall’anno 750), quando la filosofia greca divenne
disponibile in arabo, emerse il movimento della teologia mutikallimum, termine
derivante da kalam, che significa “argomentazione ragionata”, le cui diverse
scuole utilizzarono singole idee filosofiche o per la difesa del monoteismo
radicale o per sostenere la predestinazione e negare il libero arbitrio o,
viceversa, per affermare il libero arbitrio e negare la predestinazione. Una
filosofia separata dalla teologia era il falsafah, che consisteva nei tentativi
razionali e intellettuali per comprendere le leggi e i principi universali. Ne
fu promotore al-Kindi (800-866), detto “il filosofo degli arabi”, matematico,
medico, astronomo, geografo, musicista, sperimentatore e creatore di una
metodologia scientifica, che sviluppò un pensiero filosofico fondato sulle
dottrine di Plotino e di Porfirio e sul concetto aristotelico dell’intelletto
agente. Al-Farabi (870-950) derivò la sua teoria politica da Platone
(reinterpretando il califfo come il re filosofo della “Repubbica”), la
metafisica e la cosmologia dai neoplatonici, la logica e l’analisi
dell’intelletto umano da Aristotele. Avicenna (980-1037) fu il filosofo più
originale dell’alto medioevo islamico. Egli per un verso cercò di unire la
filosofia alla teologia, senza trascurare la pura ricerca filosofica. Da
Aristotele assunse il principio che l’uomo trae informazioni valide dai dati
sensibili e li elabora in proposizioni concettuali che mettono in relazione
causa ed effetti. Per avere la certezza di qualcosa non è sufficiente avere
della medesima un’idea nella mente, se a tale idea non corrisponde la realtà
extra-mentale. Lo sforzo sistematico di integrare la filosofia alla teologia e
al sufismo (misticismo) fu compiuto da al-Ghazali (1058-1111). Egli obiettò
contro taluni filosofi che la loro concezione dell’eternità del mondo portava
alla negazione degli attributi divini, come l’onnipotenza e la volontà. Il
mondo, invece, è stato creato dalla volontà eterna di Dio, cioè dalla sua
eterna determinazione, ma in un momento finito del tempo. Direttamente da Dio,
inoltre, è derivata anche la molteplicità del mondo. Ultimo brillante filosofo
fu Averroè (1126-1198), fautore dello studio filosofico separato dalla teologia
e di una doppia verità. In realtà, con riferimento ai tre modelli di
dimostrazione descritti da Aristotele, Egli pensa che ci siano tre strade che
conducono a una medesima verità. Il primo tipo di argomentazione è
l’esortazione, che consiste nell’aderire per fede alla legge coranica, in
quanto verità rivelata da Dio a Maometto. Il secondo tipo di argomentazione è
la dialettica, il metodo adottato dai teologi che combina la fede con la
ragione mediante premesse probabili e conclusioni altrettanto probabili. Il
terzo tipo di argomentazione è la rigorosa dimostrazione, il metodo proprio dei
filosofi, basato su prove verificabili deduttivamente ed empiricamente, che
generano certezza scientifica. I teologi musulmani ortodossi rigettarono non
solo la dottrina di Averroè ma tutto il metodo di argomentazione elaborato dai
precedenti filosofi, perché giudicarono il falsafah incompatibile con la fede
musulmana.
Lucio Apulo
Daunio