L’ILLUMINISMO E LE SUE IDEE
“Sapere Aude!”, cioè “Abbi il coraggio di
servirti della tua intelligenza!”, di uscire dallo stato di minorità. Questo è
il motto che Kant assegna all’Illuminismo, il movimento intellettuale
dell’emergente ceto borghese in lotta contro l’oscurantismo dell’Ancien Règime
(monarchia assoluta, privilegi aristocratici, persecuzioni religiose, censure,
ineguaglianze sociali, pregiudizi, ecc.). Kant, in altri termini, esorta ad
avere coraggio, a vincere lo stato d’inerzia, ossia l’incapacità di servirsi
del proprio intelletto senza la guida di un altro.
Il pensiero
illuministico è dunque un metodo di acquisizione delle conoscenze mediante
l’uso della ragione, fondata sull’esperienza, sull’osservazione dei fenomeni
naturali, per cercare di capire, piuttosto che di credere. Una ragione che non
sia subordinata all’autorità e alla tradizione ma volta a liberare l’uomo dalle
tenebre (dell’ignoranza, della superstizione, del fanatismo, dell’intolleranza,
della tirannia, ecc.), mediante la diffusione della cultura e del libero
pensiero. L’Illuminismo è l’esplosione dello spirito critico, mediante il quale
la conoscenza è sottoposta al vaglio della ragione, che induce a non più
accogliere passivamente le forme culturali della tradizione. E’ la concezione
della centralità e responsabilità dell’uomo, la cui missione è realizzare nel
mondo un ordine razionale. E’ l’affermazione di un nuovo atteggiamento
culturale, originato nel Seicento, il secolo del libertinismo. Questo movimento
culturale esprime scetticismo, liberazione dai pregiudizi, indipendenza di
pensiero, rinnovato epicureismo. E’ il secolo di Casanova e di Sade, ma anche
di Molière (Dom Juan), La Fontaine, Cyrano de Bergerac. Il libertinismo matura
nel Settecento nell’illuminismo dei philosophes,
gli intellettuali che si riconnettono allo spirito critico del secolo
precedente, mettendo in discussione ogni certezza, propugnando la netta
separazione tra religione e politica (laicismo), esaltando la ragione, che
nulla ammette senza prove. Il loro scopo è educare le persone a ragionare con
la propria intelligenza, a liberarsi, per mezzo dei lumi e nei limiti della
ragione, dai vincoli della tradizione, culturale e istituzionale, vista come
somma di errori, ingiustizie e superstizione religiosa. Le riforme scolastiche
dell’epoca mirano a strappare al clero il monopolio dell’istruzione per formare
dei cittadini liberi e connotati da spirito critico. Il generale atteggiamento
ottimistico dell’Illuminismo si fonda sull’idea del progresso, fautore di
felicità per il maggior numero di persone. L’uomo, sostengono gli illuministi
(condividendo il pensiero di Locke), non possiede idee innate (innatismo), da
cui è possibile dedurre ogni nozione. E’ attraverso l’osservazione dei fatti
che la ragione può formulare principi generali. Mediante il metodo scientifico
dell’analisi graduale, essa procede dal particolare al generale, mirando
all’organizzazione sistematica dei risultati. Le verità acquisite dalla
ragione, nella sua lotta contro le tenebre (l’autorità consolidata della tradizione),
trovano fondamento sull’esperienza. L’esperienza, attraverso la conoscenza
sensibile (nihil est in intellectu quod
prius non fuerit in sensu), fornisce il materiale indispensabile alla
formazione delle idee ed esercita una funzione di controllo dei risultati che
la ragione determina. I poteri conoscitivi dell’uomo terminano laddove egli non
può avvalersi dell’esperienza. In altri termini, la ragione umana può conoscere
entro i limiti dell’esperienza. Le questioni che trascendono i limiti dell’esperienza
sono insolubili e irrilevanti per la scienza. Il pensiero illuministico è fatto
proprio dalla borghesia, il nuovo ceto emergente nella società del Settecento
nella sua lotta intellettuale di liberazione dai vincoli imposti dalle altre
due classi sociali, considerate parassitarie: la nobiltà e il clero, che godono
di esenzioni, privilegi e rendite feudali. Proclamando il diritto di
uguaglianza degli uomini, che sono uguali in natura, poiché sono accomunati
dalla ragione, gli illuministi rivendicano la parità (uguaglianza) di tutti i
cittadini di fronte alla legge, la libertà civile e politica (stato di diritto
governato da leggi, che siano espressione non di comandamenti divini ma della
volontà dei cittadini), la tolleranza (accettazione delle idee altrui, anche se
diverse e contrastanti), la filantropia (fratellanza), la solidarietà, il
pacifismo, il cosmopolitismo (che implica comunicazione e comunanza tra i
popoli). La rivendicazione dei diritti umani trova il fondamento nel
giusnaturalismo (Grozio) e nel contrattualismo (Hobbes, Spinoza, Locke, ecc.).
L’uno afferma l’esistenza di un diritto naturale, dettato dalla ragione,
anteriore e superiore al diritto positivo; l’altro vede nel contratto la base
della convivenza civile e politica, che segnerebbe la fine dello stato di
natura.
Il
libertinismo è un movimento culturale francese del Seicento (ma che nasce nel
500 e rifluisce nel 700), che pone a suo fondamento la concezione
rinascimentale della dignità e dell’autonomia della ragione dell’uomo da ogni
autorità, civile e religiosa. Dallo scetticismo di Montaigne, apprende la
consapevolezza dei limiti della conoscenza umana, che implica la sospensione
del giudizio (epoché). Da Bruno
accetta l’ipotesi dell’infinità dell’universo. Dallo stoicismo trae la
concezione di un universo retto da leggi, che inducono necessariamente a un
determinato costante comportamento (il che esclude la possibilità dei
miracoli), nonché l’esigenza di una morale razionale, indipendente dalla
religione. Dall’epicureismo desume la concezione materialistica e atomistica
della realtà, che esclude la possibilità di un’esistenza ultraterrena. I
libertini criticano l’impostura della religione, che costringe il popolo a
essere assoggettato al potere, opponendo ai dogmi del Cristianesimo la credenza
religiosa razionale in un Dio ordinatore dell’universo (deismo). Il libertino è
una persona libera dai pregiudizi e dai condizionamenti metafisici. Non mancano
correnti panteistiche o ateistiche, che si atteggiano a comportamenti di ateismo
pratico o di agnosticismo. Giulio Cesare Vanini, libertino radicale, avversario
di ogni superstizione e fede religiosa, paga con la vita la libertà di
esprimere le proprie idee. Condannato per il reato di ateismo, subisce la pena
del taglio della lingua e, dopo esser stato strangolato, il suo corpo è arso
sul rogo. E’ l’epoca in cui l’Inquisizione, intollerante del libero pensiero,
condanna l’eretica pravità. Pietro Pomponazzi è costretto a difendersi
dall’accusa di eresia per aver denunciato sia l’impossibilità razionale di
dimostrare l’immortalità dell’anima sia l’inconciliabilità del concetto di
“libero arbitrio” con quello di “predestinazione”. Dolet e Serveto (e molti
altri) finiscono sul rogo, l’uno, per aver dubitato dell’immortalità
dell’anima; l’altro, per le sue aperture panteistiche. Girolamo Cardano,
denunciato per aver pubblicato un oroscopo su Gesù, è costretto a far ammenda
dei suoi presunti errori. Giordano Bruno, martire del libero pensiero, è arso
vivo sul rogo. Tommaso Campanella subisce cinque processi e trascorre
ventisette anni della sua vita in prigione. Galileo Galilei è costretto
all’abiura e al carcere.
La teoria
dell’innatismo presuppone che l’uomo nasca con idee innate, cioè abbia
conoscenze non apprese in base all’esperienza e al condizionamento
socio-educativo. Così è la teoria dell’anamnesi (reminiscenza) di Platone e dei
filosofi neoplatonici (Plotino, Giamblico, Proclo). Simile è il pensiero di
Agostino e Giovanni Scoto Eriugena, che sostituiscono alla reminiscenza
l’illuminazione divina, e quello di Leibniz, che ritiene la mente strutturata
in modo da includere vari concetti generali. In particolare, essendo la ragione
(luce naturale) una facoltà limitata, richiede una luce sovrannaturale: la
Rivelazione. Per gli illuministi, invece, l’assistenza divina è vista come un
oscuramento, un ostacolo al progresso della conoscenza, essendo la ragione
umana autosufficiente. Ai giorni nostri, la teoria linguistica della grammatica
generativa di Chomsky e della sua scuola, ritiene probabile che nella mente vi
siano strutture linguistiche innate.
L’inglese
Locke, padre dell’empirismo, critica (nel “Saggio sull’intelletto umano”)
l’innatismo e il razionalismo certo e assoluto cartesiano, secondo il quale,
postulando alcuni principi primi, di per sé evidenti, derivanti da un’Entità
superiore, quindi innati, è possibile derivare l’intero sistema del mondo.
Locke, invece, sostiene che la mente nasce priva d’idee innate e che la
conoscenza deriva esclusivamente dall’esperienza sensibile (sensualismo). La
ragione, dunque, per Locke richiede prove empiriche. L’idea cartesiana di una
scienza a priori è anche messa in discussione da un nuovo atteggiamento di
pensiero, espressione della filosofia sperimentale di Bacone e del metodo
analitico sperimentale matematico introdotto dalla Rivoluzione scientifica. Al
pensiero deduttivo della filosofia cartesiana, gli illuministi sostituiscono il
metodo analitico e sperimentale della scienza newtoniana e galileiana (la
conoscenza moderna inizia con Copernico, Galileo, Keplero, Newton), che
richiede una formulazione matematica, cioè la misurazione dei rapporti che
connettono un fenomeno ad altri. L’ordine del mondo, quindi, è un ordine
matematico. Quest’ordine del mondo, caratterizzato dall’immutabilità delle
leggi scientifiche, sarebbe garantito, secondo alcuni, dall’esistenza di un
Ente divino (non quindi dal caso), secondo altri, invece, tale ordine è
intrinseco alla natura stessa (per cui diventa superfluo il concetto di Dio).
Il francese, conte di Buffon, in “Storia naturale, generale e particolare”
diffonde l’interesse per lo studio scientifico della natura (che influirà il
pensiero di Lamarck e quello di Darwin). L’illuminista scozzese Hume studia di
realizzare una scienza della natura umana mediante un modello empirista della
conoscenza. Il suo scetticismo consiste nei limiti in cui le pretese della
ragione devono confinarsi: la conoscenza è probabile non certa (come quella
matematica). Nota che molti aspetti della realtà sfuggono alla comprensione
umana. Dubita riguardo all’uniformità delle leggi della natura. Critica, pur
ritenendolo necessario per l’evolversi delle scienze, l’abito mentale di
credere che una legge fisica, valida nel passato, debba continuare a essere
tale anche nel futuro. Ritiene che la fede religiosa sia un sentimento
irrazionale ed emotivo, un mistero inesplicabile, non utile ai fini della
moralità. Altri illuministi inglesi di rilevo sono: Wolff, Lessing,
Mendelsshon.
La critica
della tradizione intrapresa dagli illuministi mira, da una parte, a
delegittimare la giustificazione di credenze e istituzioni per il semplice
fatto di essere state tramandate dal passato, dall’altra parte, a mettere in
discussione la loro fondatezza. In campo religioso, gli illuministi condannano
qualsiasi forma storica di religione (laicizzazione della cultura), opponendo
alla religione positiva (ebraismo, cristianesimo, islamismo), fondata
sull’autorità della tradizione e sull’irrazionalità della “rivelazione” (che è
conoscenza diversa dall’esperienza), la religione naturale, non dipendente da
eventi storici, fondata sulla ragione, su un’etica universale, sul
riconoscimento di un essere supremo (deismo), garante dell’ordine naturale
(essendo l’uomo unico soggetto della storia). Dogmi e culti delle religioni
positive sono inutili e dannosi. Gli uni sono credenze indimostrabili, gli
altri sono pratiche irrilevanti, simili a quelle magiche. La differenza di
dogmi e culti tra le diverse religioni positive è all’origine dell’intolleranza
e del fanatismo. L’imperativo di tolleranza reciproca tra le diverse religioni,
proclamato dagli illuministi, si fonda sul principio del rispetto reciproco di
credenze difformi. Nessuno ha il diritto di imporre al prossimo la propria
verità religiosa. Lo stato laico deve salvaguardare l’autonomia delle
istituzioni pubbliche dall’invadenza delle religioni, nessuna delle quali deve
avere preminenza sulle altre. Alla lotta contro l’assolutismo religioso si
affiancano quelle contro l’assolutismo politico e la sopravvivenza delle
istituzioni feudali. Un ordinamento sociale è legittimo se garantisce ai
cittadini i diritti (alla libertà, alla sicurezza, alla tutela della proprietà,
alla protezione della legge, ecc.) da essi posseduti per natura.
La concezione
storica dell’Illuminismo considera il processo storico come il risultato dello
sforzo umano volto al progresso, cioè al graduale perfezionamento del genere
umano, che da uno stadio di primitiva organizzazione sociale, si evolve,
attraverso il perfezionamento della ragione e la diffusione dei lumi, in un
continuo processo d’incivilimento, anche se interrotto da stadi di decadenza.
Questa concezione presuppone, dunque, il carattere progressivo, non
necessariamente di progresso continuo, della storia. Il progresso della civiltà
esige il graduale accrescimento dei poteri della ragione. Se per un verso
l’illuminismo respinge la tradizione (rifiuto del principio d’autorità), come
fondamento legittimante di credenze religiose e d’istituzioni politico-sociali,
per un altro verso considera la storia opera degli uomini, non della divina
provvidenza. Svincolata da qualsiasi presupposto teologico, la storia è un
processo che dipende dai progressi e dalle decadenze della ragione, essendo
tale processo connesso con la fiducia che l’uomo ha in se stesso e nelle sue
possibilità. Il progresso della civiltà, dunque, dipende dal progresso della
ragione, che guida la condotta umana. Alla distruzione degli ostacoli che si
frappongono al progresso della civiltà, la critica illuministica affianca la
ricostruzione di una società a un livello superiore di progresso.
La lotta
contro il principio d’autorità ha radici nell’umanismo e nel naturalismo
rinascimentale (che vedono nella natura la fonte di ogni esperienza, hanno una
visione laica della vita, rivendicano la libertà e la dignità dell’uomo), nel
libero esame propugnato dalla Riforma (per quanto concerne l’aspetto
religioso), nella Rivoluzione inglese (per l’aspetto politico), nella
rivoluzione scientifica (che adotta il metodo induttivo nella ricerca delle
leggi costitutive dei fenomeni), nel dubbio metodico cartesiano. Il primo ad
assumere un atteggiamento critico di fronte alla tradizione è Pierre Bayle, che
nei “Pensieri diversi sulle comete” sostiene che non bisogna prestar fede alla
credenza superstiziosa che le comete siano segno o presagio di sventure,
essendo queste un mero fenomeno naturale, spiegabile mediante la scienza.
L’apparizione di una cometa non è dunque un presagio di sventure, un castigo di
Dio per l’incredulità degli uomini. La trasmissione di credenze è ciò che forma
una tradizione. La probabilità di una convinzione tramandata dalla tradizione
non dipende dal numero di persone che la condividono, ma dal grado di certezza
che ha acquisito. Occorre cioè accertare se ciò di cui tutti parlano sia vero.
In altri termini, tutte le convinzioni, ancorché siano consolidate
dall’autorità della tradizione, vanno sottoposte al rigore dell’analisi
razionale. Secondo Bayle, l’uomo non agisce quasi mai coerentemente ai suoi
principi. Errata è la tendenza a giudicare i costumi di un uomo in base alle
idee generali che ha ricevuto riguardo a ciò che si deve fare, perché lo stesso
può agire diversamente, spinto dalla passione o dall’inclinazione del
temperamento o dalla forza dell’abitudine, o da altre motivazioni, che emergono
dal fondo della natura umana in qualsiasi paese si nasca e religione si
pratichi. Ciò che degrada l’uomo è la superstizione, non l’ateismo. L’ateismo è
compatibile con la moralità dei costumi. L’ateo virtuoso segue una vita morale
che è indipendente dai principi religiosi, essendo la morale laica libera da
ipoteche della religione. Ciò che è vero di per sé può non esserlo per altre
persone, e ciò che è falso di per sé può non esserlo per molti. La verità
proclamata da una fede religiosa, può essere falsità per altri. Se la falsità
si ricopre dell’apparenza della verità e molti la scambiano per la verità,
essendo stati ingannati, si comporteranno in modo da rispettare la falsità come
se fosse verità. Ognuno segue il giudizio della propria coscienza, anche se si
tratta di una coscienza errante. La legittimità della coscienza errante
(diritto all’errore) implica la tolleranza religiosa. Quando si ha una
molteplicità di religioni, è necessaria la reciproca tolleranza per evitare che
ciascuna perseguita le altre. Bayle, nel “Dizionario storico e critico” impiega
il dubbio scettico come strumento di scoperta di errori e mistificazioni,
incorporati nella tradizione (che comprende anche credenze e dottrine
religiose), allo scopo di accertare la verità dei fatti storici. La ragione
umana, a differenza della teologia, non può spiegare né giustificare la fede
fondata sull’irrazionalità della rivelazione, che esclude la possibilità di una
discussione razionale.
Dopo la morte
di Bayle (1706), le idee illuministiche, contrastate dai rigori della censura e
dalla persecuzione ecclesiastica, circolano attraverso i “manoscritti
clandestini”. L’anonimo autore del “Trattato dei tre impostori” accusa
d’impostura le tre religioni monoteistiche e i loro fondatori: Mosè, Gesù e
Maometto. L’anonimo autore del “Teofrasto redivivo” (1659) delinea una
concezione naturalistica e immanentistica tesa a confutare la concezione
religiosa dell’uomo e del mondo. Sulla base concettuale dello scetticismo
libertino seicentesco, l’Illuminismo si sviluppa in due diverse direzioni.
L’una è quella del deismo, improntato sulla religione naturale, fondata sulla
ragione, che nega il valore storico delle religioni positive e rivendica la tolleranza
religiosa. L’altra è quella dell’ateismo, anticlericale (condanna della
religione cristiana come impostura) e antiassolutistico (critica del potere
politico, responsabile di perpetuare l’inganno della religione). La fonte del
pensiero ateistico è rappresentata dalla critica biblica del “Trattato
teologico-politico” di Spinoza, interpretata in senso materialistico. Comune
alle due direzioni è l’atteggiamento critico di fronte alla tradizione (sulla
linea di Bayle), da cui l’accusa di falsità di tutte le religioni positive (di
cui si negano la validità delle profezie, i miracoli e i dogmi). La polemica
antireligiosa è espressa in forma estrema nel “Testamento”, scritto dal
sacerdote Jean Meslier e diffuso dopo la sua morte. Egli considera la religione
strumento di tirannide politica e riconosce nella natura eterna il principio di
tutte le cose: la materia trae da sé la propria esistenza e il proprio
movimento (materialismo). Tutto ciò che esiste in natura, è prodotto dalle
leggi naturali del movimento e dalla combinazione e modificazione delle parti
della materia. Le tesi fondamentali della religione cristiana sono tanto
ridicole quanto assurde e contrarie alla retta ragione. Chi afferma l’origine
divina della propria religione, ma non è in grado di fornire prove chiare e
convincenti, dimostra in modo palese che la sua religione non è stata istituita
da Dio, ma è un’invenzione umana.
La fonte del
pensiero deistico è rappresentata dagli scritti dei deisti inglesi (Toland,
Collins, ecc.). Toland (“Cristianesimo senza misteri”: testo classico del
deismo), difensore della libertà di pensiero e dei diritti civili, è
considerato il padre del panteismo scientifico moderno. Influenzato dal
materialismo di Lucrezio (“De rerum natura”) e dal panteismo di Giordano Bruno,
afferma che non esiste nulla di eterno se non l’universo stesso, costituito di
sola materia e che contiene in se stesso il principio di movimento. Critico del
Cristianesimo, si propone di ricondurre la religione ai dettami della ragione, depurandola
di tutto ciò che è misterioso e incomprensibile. Collins (“Discorso sul libero
pensiero”) è fautore del libero pensiero, necessario per la crescita del sapere
umano. Egli critica le tradizioni religiose e le loro dottrine, ritenendole
infondate e contrarie ai dettami della ragione. L’indirizzo deistico pone la
ragione come unico giudice nell’esame critico delle opinioni altrui e proprie.
L’esame critico della religione, mediante la logica del ragionamento, deve
appurare se un libro considerato sacro è opera di Dio, se contiene la sua
volontà, se ha designato qualche uomo a spiegarlo, se chi si arroga questo
titolo sia veramente designato da Dio e abbia prove inconfutabili di essere
portatore degli ordini divini. Le verità religiose non sono innate né eterne,
ovunque manifestate e riconosciute (molti popoli ignorano la “rivelazione”). Le
verità divine dovrebbero essere esenti da ogni contraddizione. La Scrittura
dovrebbe essere incorruttibile ed espressa in un linguaggio comprensibile,
invece, essendo opera umana, è soggetta a errori e manomissioni. Essa non
insegna alcuna convinzione morale che non sia stata già diffusa dai pagani in
modo più persuasivo ed esplicito. Il deista tedesco Reimarus (“Apologia di
coloro che adorano Dio secondo ragione”) si scaglia con violenza contro ogni
religione rivelata e considera la missione di Gesù fallita, e il Cristianesimo,
una frode perpetrata dai suoi discepoli.
Il pensiero di
Voltaire prosegue nell’atteggiamento critico espresso da Bayle nei confronti
della tradizione e si connette alla polemica di Meslier contro il
Cristianesimo. Accoglie il principio deistico (affermazione dell’esistenza di
un ente supremo, garante dell’ordine naturale), rivendicando una religione
naturale contrapposta alle varie forme di religione positiva. Condivide la
concezione empiristica di Locke (atteggiamento limitativo e critico nei
confronti delle possibilità conoscitive, posto che la ragione, essendo
fallibile, deve trarre i principi della conoscenza dall’esperienza). Adotta, in
contrapposizione al metodo deduttivo del razionalismo cartesiano, il
procedimento analitico definito nelle “regulae
philosophandi” di Newton, che rende possibile una conoscenza scientifica
della realtà (determinazione, su base sperimentale, delle leggi dei fenomeni,
tenuto conto dell’uniformità e omogeneità della natura, e successivo controllo
delle teorie scientifiche). Nelle “Lettere filosofiche”, in cui riferisce sulla
vita e sulla cultura inglese del suo tempo, Voltaire espone il fondamento del
suo pensiero (convivenza tra fedi diverse, tolleranza religiosa, libertà
politica, regime parlamentare, empirismo lockiano, scienza newtoniana). Elogia
il metodo sperimentale induttivo di Bacone e quello scientifico,
ipoteco-sperimentale e matematico di Galilei. Nelle opere successive afferma
talune tesi: quella dell’origine della conoscenza umana dall’esperienza
(rifiuto dell’innatismo e della metafisica); quella della dipendenza dell’uomo
dalle leggi naturali; quella dei limiti dei poteri conoscitivi della ragione.
Nel “Dizionario filosofico” critica l’intolleranza, il fanatismo religioso, il
dispotismo politico. Considera il dogmatismo del Cristianesimo, un ostacolo per
il progresso dell’umanità, e il miracolo, una contraddizione in termini, in
quanto violazione di una legge naturale, che è immutabile ed eterna (una legge
non può essere contemporaneamente immutabile e violata). Ritiene la libertà,
cioè il potere di agire dell’uomo, limitata da cause intrinseche alla natura
umana (la malattia limita la volontà di camminare; la passione induce a
compiere ciò che la volontà non vorrebbe compiere; ecc). Critica l’ottimismo di
chi crede che Dio abbia scelto per noi il migliore dei mondi possibili, e il
pessimismo di chi si lamenta, esagerando, dei mali che affliggono il mondo.
Propugna la fede nella religione naturale, fondata sui principi morali comuni
al genere umano (essendo comune la natura umana e l’uso della ragione) e sul
comandamento universale di trattare il prossimo come vorremmo che il prossimo
trattasse noi. La prima legge fondata sul diritto della natura è la tolleranza,
che vieta che si possa costringere una persona a credere in qualcosa, pena un
danno fisico o morale. In ambito politico sostiene il dispotismo illuminato e
l’uguaglianza giuridica (non sociale).
Montesquieu è
considerato il fondatore della teoria politica della separazione dei poteri.
Nelle “Lettere persiane”, dal punto di vista di un relativismo culturale (ogni
popolo esprime cultura e istituzioni proprie), attraverso il giudizio espresso
da un viaggiatore musulmano, critica i costumi sociali e l’organizzazione
politica della società francese contemporanea, cattolica e assolutistica (sottacendo
però gli aspetti più ripugnanti delle tradizioni islamiche). Cadalso, in
Spagna, scrive le “Lettere marocchine”. Anche lui, sotto il pretesto del
viaggiatore esotico che racconta a un compatriota le sue impressioni di
viaggiatore, denuncia i mali morali, sociali ed economici del suo tempo. Nello
“Spirito delle leggi”, Montesquieu critica il potere assoluto, costrittivo,
negazione della libertà politica. Distingue il governo repubblicano, a sua
volta distinto in democratico (se la sovranità appartiene al popolo) e
aristocratico (se la sovranità è nelle mani di una parte del popolo), da quello
monarchico (in cui governa un uomo solo, in conformità a determinate leggi) e
da quello dispotico (governato dalla volontà e dai capricci di un solo uomo).
Afferma che un popolo gode di libertà politica quando la sua forma di governo è
stabilita dalla legge e il diritto di ciascuno è limitato dalle leggi civili.
Ne consegue che la libertà politica si trova soltanto nei governi moderati,
dove non vi sia abuso del potere ma ogni potere sia delimitato da un altro
potere. Sia nei governi repubblicani, democratici o aristocratici, sia nei
governi monarchici, la libertà è garantita dalla divisione tra i poteri
(legislativo esecutivo giudiziario) e dal loro reciproco equilibrio. Il diritto
di cittadinanza lo riserva ad alcune categorie di elettori, giacché connette il
suffragio al censo.
Diderot e
D’Alambert pubblicano la “Enciclopedia” (Dizionario ragionato delle scienze,
delle arti e dei mestieri), manifesto del pensiero illuministico, cui
contribuiscono altri intellettuali. In essa s’illustrano i progressi della
scienza e della tecnica e si discutono i problemi teologici, filosofici e
politici. Della natura si dà un’interpretazione in termini evoluzionistici e si
sviluppa un’etica razionale su base stoica. Diderot, richiamandosi alla
propaganda antireligiosa dei libertini, rivendica il diritto della ragione a
esprimere un giudizio critico in ogni materia, anche religiosa, dove propugna,
in opposizione al Cristianesimo, una religione naturale d’impronta deistica. La
rinuncia alla propria ragione - afferma - pone limiti alla libertà dell’uomo e
lo rende servo di credenze metafisiche. Si mostra tuttavia indulgente nei
confronti delle “monarchie illuminate”. Nei suoi successivi scritti, rifiutando
la concezione teleologica del mondo, connessa all’argomento dell’esistenza
necessaria di un Creatore, accoglie un’interpretazione della natura in perenne
evoluzione, che rende inutile l’assunzione di una divinità, estranea alla natura,
giacché essa trova in se stessa la spiegazione di esistenza (materialismo).
Questa ipotesi interpretativa della natura doveva, secondo lui, trovare
riscontri dalla ricerca empirica e dai progressi del sapere. D’Alambert si
richiama alla scienza newtoniana e alla dottrina lockiana dell’origine empirica
delle idee (conoscenza attraverso i sensi) e insegna a fare buon uso della
ragione. Alle ipotesi ritiene preferibili le deduzioni, che hanno per base
fatti o verità riconosciute. Restringe il compito della scienza all’analisi e
alla sistemazione rigorosa dei fenomeni.
Condillac
(“Saggio sull’origine delle conoscenze umane”; “Trattato delle sensazioni”),
accogliendo la tesi dell’origine delle idee dall’esperienza, attraverso i sensi
e la riflessione, formula una teoria della conoscenza, che si propone di
dimostrare come dalle sensazioni, associate al sentimento di piacere e di
dolore, nascano le varie operazioni dello spirito (memoria, giudizi, passioni
ecc.), che sono sensazioni trasformate. Nel “Trattato dei sistemi” considera
inutili e pericolosi quei sistemi fondati su principi astratti e generalissimi
(come la metafisica di Cartesio), in quanto portano la maschera della
conoscenza, essendo connesse alla costruzione di un linguaggio privo di contatti
con la realtà. Ne consegue che la scienza e l’arte del ben ragionare devono
essere associate a un linguaggio fondato sul rigore concettuale, sulla
correttezza argomentativa e sull’aderenza all’esperienza. Condillac, esasperato
dalle polemiche contro di lui, riguardo al materialismo e al sensismo, si
ritira in esilio volontario a Parma.
La concezione
materialistica della realtà trova un’esposizione sistematica nel pensiero di
Lamettrie (“L’uomo macchina”), D’Holbach (“Sistema della natura”), Helvetius
(“Sullo spirito”, condannato al rogo), intellettuali eredi del libertinismo,
del meccanicismo cartesiano e del sensualismo lockiano. Questi autori
radicalizzano l’esigenza di una spiegazione rigorosamente scientifica
dell’ordine universale, concepito in modo autosufficiente e indipendente da
elementi trascendenti. La realtà è costituita da una concatenazione necessaria
di rapporti di causa e di effetto. Tutti i fenomeni sono considerati come
conseguenza dell’azione produttiva della materia, dinamica e vitale
(meccanicismo deterministico). Anche dell’uomo si dà un’interpretazione
meccanicistica, paragonandolo a una macchina retta da leggi biologiche. La
libertà dell’uomo è pertanto illusoria, essendo l’esistenza umana una
concatenazione di cause ed effetti. Helvetius condivide la teoria della
conoscenza di tipo sensistico, elaborata da Condillac, in base alla quale
ritiene che le idee provengano dalla sensibilità e dalla memoria. Elabora una
morale fondata sul criterio dell’utilità delle azioni e indica nell’educazione
il principio di differenziazione degli uomini. La ricerca del piacere è posta a
principio etico e condizione per il raggiungimento della felicità. La
realizzazione di questo scopo è la misura per stabilire la legittimità di un
governo, il cui scopo consiste nell’eliminazione delle strutture sociali non
rispondenti alle esigenze di felicità degli uomini. Il progresso della società,
in ultima analisi, è fatto dipendere dai potenti (dispotismo illuminato).
Turgot
(“Riflessioni sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze”) considera
il Cristianesimo come un fattore d’incivilimento, soprattutto nei confronti dei
popoli barbari. Crede nel perfezionamento continuo del progresso tecnico (arti
meccaniche), che implica la libertà dell’uomo nei confronti della natura e
degli altri uomini (liberazione dal dispotismo). Ritiene che l’applicazione
all’economia dei principi liberistici della scuola fisiocratica sia una delle
condizioni per il processo d’incivilimento e di graduale accrescimento della
libertà. La fisiocrazia (Quesnay), presupponendo l’esistenza di un ordine
economico naturale, fondato su leggi fisiche e morali necessarie e
inderogabili, ritiene dannoso qualsiasi intervento pubblico nell’economia. In
opposizione al mercantilismo, considera l’attività agricola (cioè quanto la
natura, la terra, può fornire) l’unica fonte di ricchezza, in grado di
conseguire un prodotto netto rispetto agli investimenti effettuati. Le altre
attività (l’industria e il commercio), invece, sono sterili, giacché si
limitano a trasformare i beni della terra e a distribuirli. Il prodotto netto
dell’agricoltura, acquisito sotto forma di rendite dalla classe oziosa
(proprietari fondiari, nobili, clero, funzionari pubblici, re), mediante il
consumo e il libero commercio, è ridistribuito alla classe sterile e alla
classe produttiva, in modo da ricostituire il ciclo della produzione e della
circolazione delle merci. Il liberismo, teorizzato da Smith e Ricardo, oppone
al “valore naturale” dei fisiocrati il “valore sociale medio” necessario per
produrre una merce. E’ il lavoro umano, non la terra, l’origine del valore
economico (teoria del valore-lavoro). La ragione illuministica s’identifica con
il potere e con il dominio della borghesia, portavoce del liberismo, ossia dei
propri interessi economici miranti al profitto, mediante la libera concorrenza
e il libero scambio di merci. Raynal (“Storia filosofica e politica delle due
Indie”) indica proprio nel libero commercio un fattore d’incivilimento, giacché
presuppone il contatto e la comunicazione tra i popoli, diffondendo la
circolazione delle idee. Condorcet (“Abbozzo di un quadro storico dei progressi
dello spirito umano”), economista, matematico e filosofo, vede
nell’instaurazione di un regime fondato sulla libertà politica e
sull’uguaglianza la possibilità di conseguire un progresso indefinito della
civiltà. Ritiene, sull’esperienza della Rivoluzione americana (1776), che sia
possibile una trasformazione rivoluzionaria della realtà politica ed economica,
liberando la società da ogni forma di dispotismo. Egli presuppone che l’uomo
tenda per sua natura a emanciparsi.
Rousseau
(“Contratto sociale”), in contrasto con la tendenza del pensiero illuministico,
nega che vi sia un rapporto tra progresso intellettuale scientifico e
artistico, e perfezionamento morale dell’umanità. Il processo d’incivilimento è
causa di corruzione etica, dovuta al distacco dell’uomo dallo stato di natura,
cioè da una supposta situazione originaria di purezza dei costumi. Ne consegue,
secondo Rousseau, la necessità di ripristinare, fermo restando lo stato
sociale, la condizione naturale dell’uomo. Ciò ritiene possibile mediante la
riforma della società, da attuare con la diffusione dell’educazione e
l’eliminazione della corruzione, originata sia dall’istituto della proprietà
privata, principale fonte di disuguaglianza fra gli uomini, sia dal potere
arbitrario, fonte di oppressione. La teoria contrattualistica di Rousseau vuole
spiegare l’invenzione dello Stato. Nella condizione ferina dello stato di
natura l’uomo è in competizione costante con i suoi simili, che minacciano la
sua sopravvivenza e la sua libertà. Da qui origina la necessità di sottostare
alle garanzie stabilite da un contratto sociale. Questo, però, sarebbe stato
suggerito dai più ricchi e potenti, che hanno sancito la proprietà privata,
istituzionalizzando la disuguaglianza. Solo mediante un nuovo contratto sociale
è possibile ricostruire una vita autentica e una libera società di eguali. La
rivoluzione culturale illuministica, radicalizzata dal pensiero politico di
Rousseau e dalla sua idea della sovranità popolare, si avvia verso la
Rivoluzione Francese (1789), che tradurrà nei fatti le idee correnti del secolo
dei Lumi, deformandone il messaggio per trasmutarlo secondo le sue specifiche
finalità (il cosmopolitismo in nazionalismo conquistatore, il pacifismo in
militarismo, la tolleranza in fanatismo, la libertà in terrore).
In Italia, il
pensiero illuministico si sviluppa in tematiche economiche (Genovesi,
Filangieri, Galiani, Verri), giuridiche (Beccaria, Pagano), storiografiche
(Muratori, Giannone), letterarie (Alfieri e Parini con la satira) e teologiche
(il modernismo, condannato come eresia dal papa Pio X, che scomunica Murri e
Buonaiuti, suoi principali esponenti).
Scopo
principale del pensiero illuministico è stato quello di formare uomini nuovi,
consapevoli dei loro diritti e doveri, liberi da ogni pregiudizio (anche se nei
fatti taluni illuministi - Voltaire e altri - non seppero liberarsi dai vecchi
preconcetti, come quello contro gli ebrei per la loro resistenza a emanciparsi
dalla propria cultura e tradizione per integrarsi nella società dei popoli
ospitanti). L’Illuminismo ha emancipato la società dalla tutela delle monarchie
di diritto divino e dalla gerarchia della chiesa cattolica. Ha significato il
dominio della ragione sulla natura, interna ed esterna; ha abolito il timore
del soprannaturale, mediante le verità acquisite con il progresso delle scienze
positive; ha indotto a sospendere il giudizio su tutto quello che non è
scientificamente conoscibile (nel linguaggio di Popper, o perché
inverificabile, in quanto non si può dimostrare la veridicità, o perché non
falsificabile, in quanto non si può dimostrare la falsità). La ragione critica
verso ogni credenza e conoscenza è strumento di crescita e liberazione, a
condizione che essa sia al servizio dell’uomo e introduca gli strumenti per la
propria autocorrezione (Abbagnano). La volontà di pensare da sé, di dipendere
dalle proprie convinzioni, piuttosto che dall’autorità degli altri, non è,
secondo la critica di Hegel (“Fenomenologia dello spirito”), una garanzia
sufficiente di razionalità e di libertà. La fede nel progresso storico,
attraverso i lumi della ragione (soggettiva) e i progressi della scienza e
della tecnica, pur avendo tolto agli uomini la paura e accresciuto il loro potere
sulla natura, non li ha emancipati ma estraniati da ciò su cui esercitano il
potere (Adorno e Horkheimer, filosofi della Scuola di Francoforte, in
“Dialettica dell’Illuminismo”). In altri termini, l’Illuminismo, inteso come
tentativo dell’uomo di dominare la natura, trasformandola mediante le
conoscenze tecno-scientifiche, si è dialetticamente ribaltato
nell’assoggettamento dell’uomo al dominio tecnologico del sistema sociale.
Trascurando il sapere critico rispetto a quello della tecnica (che presuppone la
scienza), l’uomo è sprofondato in nuovi stati di barbarie: nel dominio
dell’uomo sull’uomo (capitalismo disumano) e nel totalitarismo (fascismo,
nazismo, stalinismo). L’industria culturale, che crea bisogni e impone modelli
attraverso i mezzi di comunicazione di massa (televisione, radio, cinema,
giornali, pubblicità, ecc.), ha contribuito ad alienare l’uomo, trasmettendo i
disvalori del sistema dominante, manipolando la sua coscienza per integrarlo
nel sistema medesimo. Vattimo e Severino hanno criticato gli aspetti negativi
della società occidentale, figlia del razionalismo e dell’illuminismo, giacché
essa ha puntato sul dominio e sul tecnicismo piuttosto che sull’autentica
emancipazione dell’uomo, imponendo un pensiero unico valido universalmente.
Resta comunque il fatto che la fiaccola accesa dall’Illuminismo, contro
l’oscurantismo e la protervia del potere politico e religioso, ha illuminato il
cammino della cultura europea verso la modernità, la libertà, l’età dei diritti
dell’uomo. Il suo lascito, auspicante principi interdipendenti di “libertà”
(nei limiti delle leggi), “eguaglianza” (nelle differenze) e “fraternità”
(solidarietà), è monito perenne per l’umanità.
BIBLIOGRAFIA
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Talmon J.L., Le origini della
democrazia totalitaria
Venturi F., Settecento
riformatore
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