giovedì 24 febbraio 2011


L’ILLUMINISMO E LE SUE IDEE

Sapere Aude!”, cioè “Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza!”, di uscire dallo stato di minorità. Questo è il motto che Kant assegna all’Illuminismo, il movimento intellettuale dell’emergente ceto borghese in lotta contro l’oscurantismo dell’Ancien Règime (monarchia assoluta, privilegi aristocratici, persecuzioni religiose, censure, ineguaglianze sociali, pregiudizi, ecc.). Kant, in altri termini, esorta ad avere coraggio, a vincere lo stato d’inerzia, ossia l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro.

Il pensiero illuministico è dunque un metodo di acquisizione delle conoscenze mediante l’uso della ragione, fondata sull’esperienza, sull’osservazione dei fenomeni naturali, per cercare di capire, piuttosto che di credere. Una ragione che non sia subordinata all’autorità e alla tradizione ma volta a liberare l’uomo dalle tenebre (dell’ignoranza, della superstizione, del fanatismo, dell’intolleranza, della tirannia, ecc.), mediante la diffusione della cultura e del libero pensiero. L’Illuminismo è l’esplosione dello spirito critico, mediante il quale la conoscenza è sottoposta al vaglio della ragione, che induce a non più accogliere passivamente le forme culturali della tradizione. E’ la concezione della centralità e responsabilità dell’uomo, la cui missione è realizzare nel mondo un ordine razionale. E’ l’affermazione di un nuovo atteggiamento culturale, originato nel Seicento, il secolo del libertinismo. Questo movimento culturale esprime scetticismo, liberazione dai pregiudizi, indipendenza di pensiero, rinnovato epicureismo. E’ il secolo di Casanova e di Sade, ma anche di Molière (Dom Juan), La Fontaine, Cyrano de Bergerac. Il libertinismo matura nel Settecento nell’illuminismo dei philosophes, gli intellettuali che si riconnettono allo spirito critico del secolo precedente, mettendo in discussione ogni certezza, propugnando la netta separazione tra religione e politica (laicismo), esaltando la ragione, che nulla ammette senza prove. Il loro scopo è educare le persone a ragionare con la propria intelligenza, a liberarsi, per mezzo dei lumi e nei limiti della ragione, dai vincoli della tradizione, culturale e istituzionale, vista come somma di errori, ingiustizie e superstizione religiosa. Le riforme scolastiche dell’epoca mirano a strappare al clero il monopolio dell’istruzione per formare dei cittadini liberi e connotati da spirito critico. Il generale atteggiamento ottimistico dell’Illuminismo si fonda sull’idea del progresso, fautore di felicità per il maggior numero di persone. L’uomo, sostengono gli illuministi (condividendo il pensiero di Locke), non possiede idee innate (innatismo), da cui è possibile dedurre ogni nozione. E’ attraverso l’osservazione dei fatti che la ragione può formulare principi generali. Mediante il metodo scientifico dell’analisi graduale, essa procede dal particolare al generale, mirando all’organizzazione sistematica dei risultati. Le verità acquisite dalla ragione, nella sua lotta contro le tenebre (l’autorità consolidata della tradizione), trovano fondamento sull’esperienza. L’esperienza, attraverso la conoscenza sensibile (nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu), fornisce il materiale indispensabile alla formazione delle idee ed esercita una funzione di controllo dei risultati che la ragione determina. I poteri conoscitivi dell’uomo terminano laddove egli non può avvalersi dell’esperienza. In altri termini, la ragione umana può conoscere entro i limiti dell’esperienza. Le questioni che trascendono i limiti dell’esperienza sono insolubili e irrilevanti per la scienza. Il pensiero illuministico è fatto proprio dalla borghesia, il nuovo ceto emergente nella società del Settecento nella sua lotta intellettuale di liberazione dai vincoli imposti dalle altre due classi sociali, considerate parassitarie: la nobiltà e il clero, che godono di esenzioni, privilegi e rendite feudali. Proclamando il diritto di uguaglianza degli uomini, che sono uguali in natura, poiché sono accomunati dalla ragione, gli illuministi rivendicano la parità (uguaglianza) di tutti i cittadini di fronte alla legge, la libertà civile e politica (stato di diritto governato da leggi, che siano espressione non di comandamenti divini ma della volontà dei cittadini), la tolleranza (accettazione delle idee altrui, anche se diverse e contrastanti), la filantropia (fratellanza), la solidarietà, il pacifismo, il cosmopolitismo (che implica comunicazione e comunanza tra i popoli). La rivendicazione dei diritti umani trova il fondamento nel giusnaturalismo (Grozio) e nel contrattualismo (Hobbes, Spinoza, Locke, ecc.). L’uno afferma l’esistenza di un diritto naturale, dettato dalla ragione, anteriore e superiore al diritto positivo; l’altro vede nel contratto la base della convivenza civile e politica, che segnerebbe la fine dello stato di natura.

Il libertinismo è un movimento culturale francese del Seicento (ma che nasce nel 500 e rifluisce nel 700), che pone a suo fondamento la concezione rinascimentale della dignità e dell’autonomia della ragione dell’uomo da ogni autorità, civile e religiosa. Dallo scetticismo di Montaigne, apprende la consapevolezza dei limiti della conoscenza umana, che implica la sospensione del giudizio (epoché). Da Bruno accetta l’ipotesi dell’infinità dell’universo. Dallo stoicismo trae la concezione di un universo retto da leggi, che inducono necessariamente a un determinato costante comportamento (il che esclude la possibilità dei miracoli), nonché l’esigenza di una morale razionale, indipendente dalla religione. Dall’epicureismo desume la concezione materialistica e atomistica della realtà, che esclude la possibilità di un’esistenza ultraterrena. I libertini criticano l’impostura della religione, che costringe il popolo a essere assoggettato al potere, opponendo ai dogmi del Cristianesimo la credenza religiosa razionale in un Dio ordinatore dell’universo (deismo). Il libertino è una persona libera dai pregiudizi e dai condizionamenti metafisici. Non mancano correnti panteistiche o ateistiche, che si atteggiano a comportamenti di ateismo pratico o di agnosticismo. Giulio Cesare Vanini, libertino radicale, avversario di ogni superstizione e fede religiosa, paga con la vita la libertà di esprimere le proprie idee. Condannato per il reato di ateismo, subisce la pena del taglio della lingua e, dopo esser stato strangolato, il suo corpo è arso sul rogo. E’ l’epoca in cui l’Inquisizione, intollerante del libero pensiero, condanna l’eretica pravità. Pietro Pomponazzi è costretto a difendersi dall’accusa di eresia per aver denunciato sia l’impossibilità razionale di dimostrare l’immortalità dell’anima sia l’inconciliabilità del concetto di “libero arbitrio” con quello di “predestinazione”. Dolet e Serveto (e molti altri) finiscono sul rogo, l’uno, per aver dubitato dell’immortalità dell’anima; l’altro, per le sue aperture panteistiche. Girolamo Cardano, denunciato per aver pubblicato un oroscopo su Gesù, è costretto a far ammenda dei suoi presunti errori. Giordano Bruno, martire del libero pensiero, è arso vivo sul rogo. Tommaso Campanella subisce cinque processi e trascorre ventisette anni della sua vita in prigione. Galileo Galilei è costretto all’abiura e al carcere.

La teoria dell’innatismo presuppone che l’uomo nasca con idee innate, cioè abbia conoscenze non apprese in base all’esperienza e al condizionamento socio-educativo. Così è la teoria dell’anamnesi (reminiscenza) di Platone e dei filosofi neoplatonici (Plotino, Giamblico, Proclo). Simile è il pensiero di Agostino e Giovanni Scoto Eriugena, che sostituiscono alla reminiscenza l’illuminazione divina, e quello di Leibniz, che ritiene la mente strutturata in modo da includere vari concetti generali. In particolare, essendo la ragione (luce naturale) una facoltà limitata, richiede una luce sovrannaturale: la Rivelazione. Per gli illuministi, invece, l’assistenza divina è vista come un oscuramento, un ostacolo al progresso della conoscenza, essendo la ragione umana autosufficiente. Ai giorni nostri, la teoria linguistica della grammatica generativa di Chomsky e della sua scuola, ritiene probabile che nella mente vi siano strutture linguistiche innate.

L’inglese Locke, padre dell’empirismo, critica (nel “Saggio sull’intelletto umano”) l’innatismo e il razionalismo certo e assoluto cartesiano, secondo il quale, postulando alcuni principi primi, di per sé evidenti, derivanti da un’Entità superiore, quindi innati, è possibile derivare l’intero sistema del mondo. Locke, invece, sostiene che la mente nasce priva d’idee innate e che la conoscenza deriva esclusivamente dall’esperienza sensibile (sensualismo). La ragione, dunque, per Locke richiede prove empiriche. L’idea cartesiana di una scienza a priori è anche messa in discussione da un nuovo atteggiamento di pensiero, espressione della filosofia sperimentale di Bacone e del metodo analitico sperimentale matematico introdotto dalla Rivoluzione scientifica. Al pensiero deduttivo della filosofia cartesiana, gli illuministi sostituiscono il metodo analitico e sperimentale della scienza newtoniana e galileiana (la conoscenza moderna inizia con Copernico, Galileo, Keplero, Newton), che richiede una formulazione matematica, cioè la misurazione dei rapporti che connettono un fenomeno ad altri. L’ordine del mondo, quindi, è un ordine matematico. Quest’ordine del mondo, caratterizzato dall’immutabilità delle leggi scientifiche, sarebbe garantito, secondo alcuni, dall’esistenza di un Ente divino (non quindi dal caso), secondo altri, invece, tale ordine è intrinseco alla natura stessa (per cui diventa superfluo il concetto di Dio). Il francese, conte di Buffon, in “Storia naturale, generale e particolare” diffonde l’interesse per lo studio scientifico della natura (che influirà il pensiero di Lamarck e quello di Darwin). L’illuminista scozzese Hume studia di realizzare una scienza della natura umana mediante un modello empirista della conoscenza. Il suo scetticismo consiste nei limiti in cui le pretese della ragione devono confinarsi: la conoscenza è probabile non certa (come quella matematica). Nota che molti aspetti della realtà sfuggono alla comprensione umana. Dubita riguardo all’uniformità delle leggi della natura. Critica, pur ritenendolo necessario per l’evolversi delle scienze, l’abito mentale di credere che una legge fisica, valida nel passato, debba continuare a essere tale anche nel futuro. Ritiene che la fede religiosa sia un sentimento irrazionale ed emotivo, un mistero inesplicabile, non utile ai fini della moralità. Altri illuministi inglesi di rilevo sono: Wolff, Lessing, Mendelsshon.

La critica della tradizione intrapresa dagli illuministi mira, da una parte, a delegittimare la giustificazione di credenze e istituzioni per il semplice fatto di essere state tramandate dal passato, dall’altra parte, a mettere in discussione la loro fondatezza. In campo religioso, gli illuministi condannano qualsiasi forma storica di religione (laicizzazione della cultura), opponendo alla religione positiva (ebraismo, cristianesimo, islamismo), fondata sull’autorità della tradizione e sull’irrazionalità della “rivelazione” (che è conoscenza diversa dall’esperienza), la religione naturale, non dipendente da eventi storici, fondata sulla ragione, su un’etica universale, sul riconoscimento di un essere supremo (deismo), garante dell’ordine naturale (essendo l’uomo unico soggetto della storia). Dogmi e culti delle religioni positive sono inutili e dannosi. Gli uni sono credenze indimostrabili, gli altri sono pratiche irrilevanti, simili a quelle magiche. La differenza di dogmi e culti tra le diverse religioni positive è all’origine dell’intolleranza e del fanatismo. L’imperativo di tolleranza reciproca tra le diverse religioni, proclamato dagli illuministi, si fonda sul principio del rispetto reciproco di credenze difformi. Nessuno ha il diritto di imporre al prossimo la propria verità religiosa. Lo stato laico deve salvaguardare l’autonomia delle istituzioni pubbliche dall’invadenza delle religioni, nessuna delle quali deve avere preminenza sulle altre. Alla lotta contro l’assolutismo religioso si affiancano quelle contro l’assolutismo politico e la sopravvivenza delle istituzioni feudali. Un ordinamento sociale è legittimo se garantisce ai cittadini i diritti (alla libertà, alla sicurezza, alla tutela della proprietà, alla protezione della legge, ecc.) da essi posseduti per natura. 

La concezione storica dell’Illuminismo considera il processo storico come il risultato dello sforzo umano volto al progresso, cioè al graduale perfezionamento del genere umano, che da uno stadio di primitiva organizzazione sociale, si evolve, attraverso il perfezionamento della ragione e la diffusione dei lumi, in un continuo processo d’incivilimento, anche se interrotto da stadi di decadenza. Questa concezione presuppone, dunque, il carattere progressivo, non necessariamente di progresso continuo, della storia. Il progresso della civiltà esige il graduale accrescimento dei poteri della ragione. Se per un verso l’illuminismo respinge la tradizione (rifiuto del principio d’autorità), come fondamento legittimante di credenze religiose e d’istituzioni politico-sociali, per un altro verso considera la storia opera degli uomini, non della divina provvidenza. Svincolata da qualsiasi presupposto teologico, la storia è un processo che dipende dai progressi e dalle decadenze della ragione, essendo tale processo connesso con la fiducia che l’uomo ha in se stesso e nelle sue possibilità. Il progresso della civiltà, dunque, dipende dal progresso della ragione, che guida la condotta umana. Alla distruzione degli ostacoli che si frappongono al progresso della civiltà, la critica illuministica affianca la ricostruzione di una società a un livello superiore di progresso.

La lotta contro il principio d’autorità ha radici nell’umanismo e nel naturalismo rinascimentale (che vedono nella natura la fonte di ogni esperienza, hanno una visione laica della vita, rivendicano la libertà e la dignità dell’uomo), nel libero esame propugnato dalla Riforma (per quanto concerne l’aspetto religioso), nella Rivoluzione inglese (per l’aspetto politico), nella rivoluzione scientifica (che adotta il metodo induttivo nella ricerca delle leggi costitutive dei fenomeni), nel dubbio metodico cartesiano. Il primo ad assumere un atteggiamento critico di fronte alla tradizione è Pierre Bayle, che nei “Pensieri diversi sulle comete” sostiene che non bisogna prestar fede alla credenza superstiziosa che le comete siano segno o presagio di sventure, essendo queste un mero fenomeno naturale, spiegabile mediante la scienza. L’apparizione di una cometa non è dunque un presagio di sventure, un castigo di Dio per l’incredulità degli uomini. La trasmissione di credenze è ciò che forma una tradizione. La probabilità di una convinzione tramandata dalla tradizione non dipende dal numero di persone che la condividono, ma dal grado di certezza che ha acquisito. Occorre cioè accertare se ciò di cui tutti parlano sia vero. In altri termini, tutte le convinzioni, ancorché siano consolidate dall’autorità della tradizione, vanno sottoposte al rigore dell’analisi razionale. Secondo Bayle, l’uomo non agisce quasi mai coerentemente ai suoi principi. Errata è la tendenza a giudicare i costumi di un uomo in base alle idee generali che ha ricevuto riguardo a ciò che si deve fare, perché lo stesso può agire diversamente, spinto dalla passione o dall’inclinazione del temperamento o dalla forza dell’abitudine, o da altre motivazioni, che emergono dal fondo della natura umana in qualsiasi paese si nasca e religione si pratichi. Ciò che degrada l’uomo è la superstizione, non l’ateismo. L’ateismo è compatibile con la moralità dei costumi. L’ateo virtuoso segue una vita morale che è indipendente dai principi religiosi, essendo la morale laica libera da ipoteche della religione. Ciò che è vero di per sé può non esserlo per altre persone, e ciò che è falso di per sé può non esserlo per molti. La verità proclamata da una fede religiosa, può essere falsità per altri. Se la falsità si ricopre dell’apparenza della verità e molti la scambiano per la verità, essendo stati ingannati, si comporteranno in modo da rispettare la falsità come se fosse verità. Ognuno segue il giudizio della propria coscienza, anche se si tratta di una coscienza errante. La legittimità della coscienza errante (diritto all’errore) implica la tolleranza religiosa. Quando si ha una molteplicità di religioni, è necessaria la reciproca tolleranza per evitare che ciascuna perseguita le altre. Bayle, nel “Dizionario storico e critico” impiega il dubbio scettico come strumento di scoperta di errori e mistificazioni, incorporati nella tradizione (che comprende anche credenze e dottrine religiose), allo scopo di accertare la verità dei fatti storici. La ragione umana, a differenza della teologia, non può spiegare né giustificare la fede fondata sull’irrazionalità della rivelazione, che esclude la possibilità di una discussione razionale.

Dopo la morte di Bayle (1706), le idee illuministiche, contrastate dai rigori della censura e dalla persecuzione ecclesiastica, circolano attraverso i “manoscritti clandestini”. L’anonimo autore del “Trattato dei tre impostori” accusa d’impostura le tre religioni monoteistiche e i loro fondatori: Mosè, Gesù e Maometto. L’anonimo autore del “Teofrasto redivivo” (1659) delinea una concezione naturalistica e immanentistica tesa a confutare la concezione religiosa dell’uomo e del mondo. Sulla base concettuale dello scetticismo libertino seicentesco, l’Illuminismo si sviluppa in due diverse direzioni. L’una è quella del deismo, improntato sulla religione naturale, fondata sulla ragione, che nega il valore storico delle religioni positive e rivendica la tolleranza religiosa. L’altra è quella dell’ateismo, anticlericale (condanna della religione cristiana come impostura) e antiassolutistico (critica del potere politico, responsabile di perpetuare l’inganno della religione). La fonte del pensiero ateistico è rappresentata dalla critica biblica del “Trattato teologico-politico” di Spinoza, interpretata in senso materialistico. Comune alle due direzioni è l’atteggiamento critico di fronte alla tradizione (sulla linea di Bayle), da cui l’accusa di falsità di tutte le religioni positive (di cui si negano la validità delle profezie, i miracoli e i dogmi). La polemica antireligiosa è espressa in forma estrema nel “Testamento”, scritto dal sacerdote Jean Meslier e diffuso dopo la sua morte. Egli considera la religione strumento di tirannide politica e riconosce nella natura eterna il principio di tutte le cose: la materia trae da sé la propria esistenza e il proprio movimento (materialismo). Tutto ciò che esiste in natura, è prodotto dalle leggi naturali del movimento e dalla combinazione e modificazione delle parti della materia. Le tesi fondamentali della religione cristiana sono tanto ridicole quanto assurde e contrarie alla retta ragione. Chi afferma l’origine divina della propria religione, ma non è in grado di fornire prove chiare e convincenti, dimostra in modo palese che la sua religione non è stata istituita da Dio, ma è un’invenzione umana.

La fonte del pensiero deistico è rappresentata dagli scritti dei deisti inglesi (Toland, Collins, ecc.). Toland (“Cristianesimo senza misteri”: testo classico del deismo), difensore della libertà di pensiero e dei diritti civili, è considerato il padre del panteismo scientifico moderno. Influenzato dal materialismo di Lucrezio (“De rerum natura”) e dal panteismo di Giordano Bruno, afferma che non esiste nulla di eterno se non l’universo stesso, costituito di sola materia e che contiene in se stesso il principio di movimento. Critico del Cristianesimo, si propone di ricondurre la religione ai dettami della ragione, depurandola di tutto ciò che è misterioso e incomprensibile. Collins (“Discorso sul libero pensiero”) è fautore del libero pensiero, necessario per la crescita del sapere umano. Egli critica le tradizioni religiose e le loro dottrine, ritenendole infondate e contrarie ai dettami della ragione. L’indirizzo deistico pone la ragione come unico giudice nell’esame critico delle opinioni altrui e proprie. L’esame critico della religione, mediante la logica del ragionamento, deve appurare se un libro considerato sacro è opera di Dio, se contiene la sua volontà, se ha designato qualche uomo a spiegarlo, se chi si arroga questo titolo sia veramente designato da Dio e abbia prove inconfutabili di essere portatore degli ordini divini. Le verità religiose non sono innate né eterne, ovunque manifestate e riconosciute (molti popoli ignorano la “rivelazione”). Le verità divine dovrebbero essere esenti da ogni contraddizione. La Scrittura dovrebbe essere incorruttibile ed espressa in un linguaggio comprensibile, invece, essendo opera umana, è soggetta a errori e manomissioni. Essa non insegna alcuna convinzione morale che non sia stata già diffusa dai pagani in modo più persuasivo ed esplicito. Il deista tedesco Reimarus (“Apologia di coloro che adorano Dio secondo ragione”) si scaglia con violenza contro ogni religione rivelata e considera la missione di Gesù fallita, e il Cristianesimo, una frode perpetrata dai suoi discepoli.

Il pensiero di Voltaire prosegue nell’atteggiamento critico espresso da Bayle nei confronti della tradizione e si connette alla polemica di Meslier contro il Cristianesimo. Accoglie il principio deistico (affermazione dell’esistenza di un ente supremo, garante dell’ordine naturale), rivendicando una religione naturale contrapposta alle varie forme di religione positiva. Condivide la concezione empiristica di Locke (atteggiamento limitativo e critico nei confronti delle possibilità conoscitive, posto che la ragione, essendo fallibile, deve trarre i principi della conoscenza dall’esperienza). Adotta, in contrapposizione al metodo deduttivo del razionalismo cartesiano, il procedimento analitico definito nelle “regulae philosophandi” di Newton, che rende possibile una conoscenza scientifica della realtà (determinazione, su base sperimentale, delle leggi dei fenomeni, tenuto conto dell’uniformità e omogeneità della natura, e successivo controllo delle teorie scientifiche). Nelle “Lettere filosofiche”, in cui riferisce sulla vita e sulla cultura inglese del suo tempo, Voltaire espone il fondamento del suo pensiero (convivenza tra fedi diverse, tolleranza religiosa, libertà politica, regime parlamentare, empirismo lockiano, scienza newtoniana). Elogia il metodo sperimentale induttivo di Bacone e quello scientifico, ipoteco-sperimentale e matematico di Galilei. Nelle opere successive afferma talune tesi: quella dell’origine della conoscenza umana dall’esperienza (rifiuto dell’innatismo e della metafisica); quella della dipendenza dell’uomo dalle leggi naturali; quella dei limiti dei poteri conoscitivi della ragione. Nel “Dizionario filosofico” critica l’intolleranza, il fanatismo religioso, il dispotismo politico. Considera il dogmatismo del Cristianesimo, un ostacolo per il progresso dell’umanità, e il miracolo, una contraddizione in termini, in quanto violazione di una legge naturale, che è immutabile ed eterna (una legge non può essere contemporaneamente immutabile e violata). Ritiene la libertà, cioè il potere di agire dell’uomo, limitata da cause intrinseche alla natura umana (la malattia limita la volontà di camminare; la passione induce a compiere ciò che la volontà non vorrebbe compiere; ecc). Critica l’ottimismo di chi crede che Dio abbia scelto per noi il migliore dei mondi possibili, e il pessimismo di chi si lamenta, esagerando, dei mali che affliggono il mondo. Propugna la fede nella religione naturale, fondata sui principi morali comuni al genere umano (essendo comune la natura umana e l’uso della ragione) e sul comandamento universale di trattare il prossimo come vorremmo che il prossimo trattasse noi. La prima legge fondata sul diritto della natura è la tolleranza, che vieta che si possa costringere una persona a credere in qualcosa, pena un danno fisico o morale. In ambito politico sostiene il dispotismo illuminato e l’uguaglianza giuridica (non sociale).

Montesquieu è considerato il fondatore della teoria politica della separazione dei poteri. Nelle “Lettere persiane”, dal punto di vista di un relativismo culturale (ogni popolo esprime cultura e istituzioni proprie), attraverso il giudizio espresso da un viaggiatore musulmano, critica i costumi sociali e l’organizzazione politica della società francese contemporanea, cattolica e assolutistica (sottacendo però gli aspetti più ripugnanti delle tradizioni islamiche). Cadalso, in Spagna, scrive le “Lettere marocchine”. Anche lui, sotto il pretesto del viaggiatore esotico che racconta a un compatriota le sue impressioni di viaggiatore, denuncia i mali morali, sociali ed economici del suo tempo. Nello “Spirito delle leggi”, Montesquieu critica il potere assoluto, costrittivo, negazione della libertà politica. Distingue il governo repubblicano, a sua volta distinto in democratico (se la sovranità appartiene al popolo) e aristocratico (se la sovranità è nelle mani di una parte del popolo), da quello monarchico (in cui governa un uomo solo, in conformità a determinate leggi) e da quello dispotico (governato dalla volontà e dai capricci di un solo uomo). Afferma che un popolo gode di libertà politica quando la sua forma di governo è stabilita dalla legge e il diritto di ciascuno è limitato dalle leggi civili. Ne consegue che la libertà politica si trova soltanto nei governi moderati, dove non vi sia abuso del potere ma ogni potere sia delimitato da un altro potere. Sia nei governi repubblicani, democratici o aristocratici, sia nei governi monarchici, la libertà è garantita dalla divisione tra i poteri (legislativo esecutivo giudiziario) e dal loro reciproco equilibrio. Il diritto di cittadinanza lo riserva ad alcune categorie di elettori, giacché connette il suffragio al censo.

Diderot e D’Alambert pubblicano la “Enciclopedia” (Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri), manifesto del pensiero illuministico, cui contribuiscono altri intellettuali. In essa s’illustrano i progressi della scienza e della tecnica e si discutono i problemi teologici, filosofici e politici. Della natura si dà un’interpretazione in termini evoluzionistici e si sviluppa un’etica razionale su base stoica. Diderot, richiamandosi alla propaganda antireligiosa dei libertini, rivendica il diritto della ragione a esprimere un giudizio critico in ogni materia, anche religiosa, dove propugna, in opposizione al Cristianesimo, una religione naturale d’impronta deistica. La rinuncia alla propria ragione - afferma - pone limiti alla libertà dell’uomo e lo rende servo di credenze metafisiche. Si mostra tuttavia indulgente nei confronti delle “monarchie illuminate”. Nei suoi successivi scritti, rifiutando la concezione teleologica del mondo, connessa all’argomento dell’esistenza necessaria di un Creatore, accoglie un’interpretazione della natura in perenne evoluzione, che rende inutile l’assunzione di una divinità, estranea alla natura, giacché essa trova in se stessa la spiegazione di esistenza (materialismo). Questa ipotesi interpretativa della natura doveva, secondo lui, trovare riscontri dalla ricerca empirica e dai progressi del sapere. D’Alambert si richiama alla scienza newtoniana e alla dottrina lockiana dell’origine empirica delle idee (conoscenza attraverso i sensi) e insegna a fare buon uso della ragione. Alle ipotesi ritiene preferibili le deduzioni, che hanno per base fatti o verità riconosciute. Restringe il compito della scienza all’analisi e alla sistemazione rigorosa dei fenomeni.

Condillac (“Saggio sull’origine delle conoscenze umane”; “Trattato delle sensazioni”), accogliendo la tesi dell’origine delle idee dall’esperienza, attraverso i sensi e la riflessione, formula una teoria della conoscenza, che si propone di dimostrare come dalle sensazioni, associate al sentimento di piacere e di dolore, nascano le varie operazioni dello spirito (memoria, giudizi, passioni ecc.), che sono sensazioni trasformate. Nel “Trattato dei sistemi” considera inutili e pericolosi quei sistemi fondati su principi astratti e generalissimi (come la metafisica di Cartesio), in quanto portano la maschera della conoscenza, essendo connesse alla costruzione di un linguaggio privo di contatti con la realtà. Ne consegue che la scienza e l’arte del ben ragionare devono essere associate a un linguaggio fondato sul rigore concettuale, sulla correttezza argomentativa e sull’aderenza all’esperienza. Condillac, esasperato dalle polemiche contro di lui, riguardo al materialismo e al sensismo, si ritira in esilio volontario a Parma.

La concezione materialistica della realtà trova un’esposizione sistematica nel pensiero di Lamettrie (“L’uomo macchina”), D’Holbach (“Sistema della natura”), Helvetius (“Sullo spirito”, condannato al rogo), intellettuali eredi del libertinismo, del meccanicismo cartesiano e del sensualismo lockiano. Questi autori radicalizzano l’esigenza di una spiegazione rigorosamente scientifica dell’ordine universale, concepito in modo autosufficiente e indipendente da elementi trascendenti. La realtà è costituita da una concatenazione necessaria di rapporti di causa e di effetto. Tutti i fenomeni sono considerati come conseguenza dell’azione produttiva della materia, dinamica e vitale (meccanicismo deterministico). Anche dell’uomo si dà un’interpretazione meccanicistica, paragonandolo a una macchina retta da leggi biologiche. La libertà dell’uomo è pertanto illusoria, essendo l’esistenza umana una concatenazione di cause ed effetti. Helvetius condivide la teoria della conoscenza di tipo sensistico, elaborata da Condillac, in base alla quale ritiene che le idee provengano dalla sensibilità e dalla memoria. Elabora una morale fondata sul criterio dell’utilità delle azioni e indica nell’educazione il principio di differenziazione degli uomini. La ricerca del piacere è posta a principio etico e condizione per il raggiungimento della felicità. La realizzazione di questo scopo è la misura per stabilire la legittimità di un governo, il cui scopo consiste nell’eliminazione delle strutture sociali non rispondenti alle esigenze di felicità degli uomini. Il progresso della società, in ultima analisi, è fatto dipendere dai potenti (dispotismo illuminato).

Turgot (“Riflessioni sulla formazione e la distribuzione delle ricchezze”) considera il Cristianesimo come un fattore d’incivilimento, soprattutto nei confronti dei popoli barbari. Crede nel perfezionamento continuo del progresso tecnico (arti meccaniche), che implica la libertà dell’uomo nei confronti della natura e degli altri uomini (liberazione dal dispotismo). Ritiene che l’applicazione all’economia dei principi liberistici della scuola fisiocratica sia una delle condizioni per il processo d’incivilimento e di graduale accrescimento della libertà. La fisiocrazia (Quesnay), presupponendo l’esistenza di un ordine economico naturale, fondato su leggi fisiche e morali necessarie e inderogabili, ritiene dannoso qualsiasi intervento pubblico nell’economia. In opposizione al mercantilismo, considera l’attività agricola (cioè quanto la natura, la terra, può fornire) l’unica fonte di ricchezza, in grado di conseguire un prodotto netto rispetto agli investimenti effettuati. Le altre attività (l’industria e il commercio), invece, sono sterili, giacché si limitano a trasformare i beni della terra e a distribuirli. Il prodotto netto dell’agricoltura, acquisito sotto forma di rendite dalla classe oziosa (proprietari fondiari, nobili, clero, funzionari pubblici, re), mediante il consumo e il libero commercio, è ridistribuito alla classe sterile e alla classe produttiva, in modo da ricostituire il ciclo della produzione e della circolazione delle merci. Il liberismo, teorizzato da Smith e Ricardo, oppone al “valore naturale” dei fisiocrati il “valore sociale medio” necessario per produrre una merce. E’ il lavoro umano, non la terra, l’origine del valore economico (teoria del valore-lavoro). La ragione illuministica s’identifica con il potere e con il dominio della borghesia, portavoce del liberismo, ossia dei propri interessi economici miranti al profitto, mediante la libera concorrenza e il libero scambio di merci. Raynal (“Storia filosofica e politica delle due Indie”) indica proprio nel libero commercio un fattore d’incivilimento, giacché presuppone il contatto e la comunicazione tra i popoli, diffondendo la circolazione delle idee. Condorcet (“Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano”), economista, matematico e filosofo, vede nell’instaurazione di un regime fondato sulla libertà politica e sull’uguaglianza la possibilità di conseguire un progresso indefinito della civiltà. Ritiene, sull’esperienza della Rivoluzione americana (1776), che sia possibile una trasformazione rivoluzionaria della realtà politica ed economica, liberando la società da ogni forma di dispotismo. Egli presuppone che l’uomo tenda per sua natura a emanciparsi.

Rousseau (“Contratto sociale”), in contrasto con la tendenza del pensiero illuministico, nega che vi sia un rapporto tra progresso intellettuale scientifico e artistico, e perfezionamento morale dell’umanità. Il processo d’incivilimento è causa di corruzione etica, dovuta al distacco dell’uomo dallo stato di natura, cioè da una supposta situazione originaria di purezza dei costumi. Ne consegue, secondo Rousseau, la necessità di ripristinare, fermo restando lo stato sociale, la condizione naturale dell’uomo. Ciò ritiene possibile mediante la riforma della società, da attuare con la diffusione dell’educazione e l’eliminazione della corruzione, originata sia dall’istituto della proprietà privata, principale fonte di disuguaglianza fra gli uomini, sia dal potere arbitrario, fonte di oppressione. La teoria contrattualistica di Rousseau vuole spiegare l’invenzione dello Stato. Nella condizione ferina dello stato di natura l’uomo è in competizione costante con i suoi simili, che minacciano la sua sopravvivenza e la sua libertà. Da qui origina la necessità di sottostare alle garanzie stabilite da un contratto sociale. Questo, però, sarebbe stato suggerito dai più ricchi e potenti, che hanno sancito la proprietà privata, istituzionalizzando la disuguaglianza. Solo mediante un nuovo contratto sociale è possibile ricostruire una vita autentica e una libera società di eguali. La rivoluzione culturale illuministica, radicalizzata dal pensiero politico di Rousseau e dalla sua idea della sovranità popolare, si avvia verso la Rivoluzione Francese (1789), che tradurrà nei fatti le idee correnti del secolo dei Lumi, deformandone il messaggio per trasmutarlo secondo le sue specifiche finalità (il cosmopolitismo in nazionalismo conquistatore, il pacifismo in militarismo, la tolleranza in fanatismo, la libertà in terrore).

In Italia, il pensiero illuministico si sviluppa in tematiche economiche (Genovesi, Filangieri, Galiani, Verri), giuridiche (Beccaria, Pagano), storiografiche (Muratori, Giannone), letterarie (Alfieri e Parini con la satira) e teologiche (il modernismo, condannato come eresia dal papa Pio X, che scomunica Murri e Buonaiuti, suoi principali esponenti).

Scopo principale del pensiero illuministico è stato quello di formare uomini nuovi, consapevoli dei loro diritti e doveri, liberi da ogni pregiudizio (anche se nei fatti taluni illuministi - Voltaire e altri - non seppero liberarsi dai vecchi preconcetti, come quello contro gli ebrei per la loro resistenza a emanciparsi dalla propria cultura e tradizione per integrarsi nella società dei popoli ospitanti). L’Illuminismo ha emancipato la società dalla tutela delle monarchie di diritto divino e dalla gerarchia della chiesa cattolica. Ha significato il dominio della ragione sulla natura, interna ed esterna; ha abolito il timore del soprannaturale, mediante le verità acquisite con il progresso delle scienze positive; ha indotto a sospendere il giudizio su tutto quello che non è scientificamente conoscibile (nel linguaggio di Popper, o perché inverificabile, in quanto non si può dimostrare la veridicità, o perché non falsificabile, in quanto non si può dimostrare la falsità). La ragione critica verso ogni credenza e conoscenza è strumento di crescita e liberazione, a condizione che essa sia al servizio dell’uomo e introduca gli strumenti per la propria autocorrezione (Abbagnano). La volontà di pensare da sé, di dipendere dalle proprie convinzioni, piuttosto che dall’autorità degli altri, non è, secondo la critica di Hegel (“Fenomenologia dello spirito”), una garanzia sufficiente di razionalità e di libertà. La fede nel progresso storico, attraverso i lumi della ragione (soggettiva) e i progressi della scienza e della tecnica, pur avendo tolto agli uomini la paura e accresciuto il loro potere sulla natura, non li ha emancipati ma estraniati da ciò su cui esercitano il potere (Adorno e Horkheimer, filosofi della Scuola di Francoforte, in “Dialettica dell’Illuminismo”). In altri termini, l’Illuminismo, inteso come tentativo dell’uomo di dominare la natura, trasformandola mediante le conoscenze tecno-scientifiche, si è dialetticamente ribaltato nell’assoggettamento dell’uomo al dominio tecnologico del sistema sociale. Trascurando il sapere critico rispetto a quello della tecnica (che presuppone la scienza), l’uomo è sprofondato in nuovi stati di barbarie: nel dominio dell’uomo sull’uomo (capitalismo disumano) e nel totalitarismo (fascismo, nazismo, stalinismo). L’industria culturale, che crea bisogni e impone modelli attraverso i mezzi di comunicazione di massa (televisione, radio, cinema, giornali, pubblicità, ecc.), ha contribuito ad alienare l’uomo, trasmettendo i disvalori del sistema dominante, manipolando la sua coscienza per integrarlo nel sistema medesimo. Vattimo e Severino hanno criticato gli aspetti negativi della società occidentale, figlia del razionalismo e dell’illuminismo, giacché essa ha puntato sul dominio e sul tecnicismo piuttosto che sull’autentica emancipazione dell’uomo, imponendo un pensiero unico valido universalmente. Resta comunque il fatto che la fiaccola accesa dall’Illuminismo, contro l’oscurantismo e la protervia del potere politico e religioso, ha illuminato il cammino della cultura europea verso la modernità, la libertà, l’età dei diritti dell’uomo. Il suo lascito, auspicante principi interdipendenti di “libertà” (nei limiti delle leggi), “eguaglianza” (nelle differenze) e “fraternità” (solidarietà), è monito perenne per l’umanità.

                                   Lucio Apulo Daunio

                                                                         

BIBLIOGRAFIA

Bobbio N. e Matteucci N., Dizionario di politica

Cassirer E., La Filosofia dell’Illuminismo

Diaz F., Filosofia e politica nel Settecento francese

Ferrone V. e Roche D. (a cura di), L’Illuminismo. Dizionario storico

Ferrone Vincenzo, I profeti dell’Illuminismo

Franzini Elio, Elogio dell’Illuminismo

Kant I., Che cos’è l’Illuminismo

Paganini Gianni, Analisi della fede e critica della ragione nella filosofia di Pierre Bayle

Rossi Pietro (a cura di), Gli illuministi francesi

Talmon J.L., Le origini della democrazia totalitaria

Venturi F., Settecento riformatore

 

Nessun commento:

Posta un commento