CREDENZE
CRISTIANE
Il bisogno
di credere in qualche supposta verità, di dare un significato alla propria
vita, di avere un riferimento di valori, un ideale, una fede religiosa,
accomuna universalmente gli uomini. Il nostro modo di essere nel mondo è correlato
alle circostanze di luogo e di tempo in cui viviamo. Ciò che ci distingue,
invece, è se il fine che ciascuno persegue in rapporto all’essere nel mondo sia
dannoso o utile.
La credenza
cristiana in un ente divino, uno e trino, da cui deriverebbero valori morali,
non implica né la sua reale esistenza né la cognizione della sua essenza,
dotata di Verbo e di Spirito. In forza della fede, però, il cristiano crede che
esista una realtà trascendente e che questa si sia concretata nell’immanenza
per donare all’umanità la speranza della vita oltre la morte. L’ente divino è
raffigurato come un Padre (antropomorfismo), che tramite la persona del Figlio,
concepito nel ventre di una donna immacolata sempre vergine, prima, durante e
dopo il parto, si è rivelato nell’umana natura, pur conservando quella divina (coincidentia
oppositorum di umano e divino). Tutto ciò è paradossale, dunque
irrazionale. E’ assurdo credere, sulla base di discutibili testimonianze, che
un ebreo di nome Gesù sia il Figlio di Dio ed egli stesso Dio. E’ assurdo
credere che il Figlio di Dio sia stato abbandonato dal Padre a un triste
destino, affinché la sua sofferenza e il suo sacrificio riscattino l’umanità da
una presunta colpa originale (cfr. Mc 15, 34). E’ assurdo credere che Gesù, crocefisso
morto e sepolto, possa risorgere dalla morte, apparire vivo e piagato ai
discepoli per poi ascendere al cielo nel regno del Padre, dove risiede alla sua
destra, simbolo di potenza. Queste assurde credenze implicano la subordinazione
della ragione al folle dominio della fede: dono irrazionale che lo Spirito
Santo, terza persona divina del panteon cristiano, elargirebbe a eletti
individui, ligi all’autorità della Chiesa docente, istituzione legittimata a
propagare verità dogmatiche in nome di sconosciute entità divine. Questa
sedicente sacra istituzione religiosa ha la pretesa di testimoniare verità
teologiche, rivelate mediante presunta divina ispirazione, spacciandole per
verità di fatto. Il cristiano ha l’obbligo imperativo di annunciare al mondo intero
la sua fede sacrosanta. La sua certezza, fondata sulla fede nelle Sacre
Scritture, è il requisito per conseguire la vittoria sul mondo (I Gv 5, 4).
L’onnisciente
e onnipotente divina Trinità, invenzione cristiana, che predilige la stoltezza
e l’ignoranza (1Co 1, 17-30), donando le sue grazie a chi più gli aggrada,
appare diversa dal dio giudaico Jahvè. Questi, prima di essere cristianizzato,
aveva scelto un uomo come Mosè, pieno della sapienza di questo mondo, istruito
presso gli Egiziani, potente in parole e in opere (At 7, 22), per liberare il
suo eletto popolo dalla cattività egiziana. In quei tempi biblici, in cui
imperava una religione bellicista, l’altissima divina maestà non gradiva stolti
e inetti ignoranti alla guida del suo popolo. Sacrosanta umana contraddizione!
L’evangelista
Giovanni, rapito in un’estasi mistica, liricizza nel Vangelo a lui attribuito
la narrazione della creazione del mondo e dell’uomo per opera del Verbo, che
identifica nell’uomo-dio Gesù. Verbo (Logos) è la parola creatrice di Dio,
conoscenza assoluta, realtà “ab aeterno” esistente presso il Padre, da
lui generata nella persona del Figlio, creatore del mondo e dell’uomo (Pantokrator).
Dio si è incarnato nella persona del Cristo Gesù per riscattare l’umanità dal
peccato originale. Da questa diade divina, Padre e Figlio (c.d. Unigenito per
decreto dei padri conciliari), procede (deriva, scaturisce) lo Spirito Santo
(questione del “Filioque”, concausa del Grande Scisma). Il dio-duo,
quindi, si vivifica e s’illumina con un terzo dio: tre diversi predicati di una
stessa sostanza, ovvero, un’unità che si predica in tre sostanze. Questo pasticciaccio
inestricabile sulla via misteriosa della fede cristiana è incomprensibile,
illogico, cervellotico, giacché fondato su sofismi dogmatici teocristologici,
partoriti con aspre contese e litigiose diatribe dai padri conciliari. Che i
lumi della ragione possano liberare l’umana gente da codesti farraginosi
rompicapi!
La Bibbia
degli ebrei racconta che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio
(l’unico e indivisibile). In realtà, Dio, ideato a immagine e somiglianza
dell’uomo, è un’invenzione di una casta sacerdotale a beneficio del proprio
dominio sulle coscienze degli uomini. Pensiero e parola sono attributi umani,
mediante i quali l’uomo crea e interpreta la realtà conoscibile e immagina
l’ignoto. L’uomo ha immaginato Dio, trasfigurando idealmente se stesso,
trasponendosi in un mondo immaginario, ultraterreno, dove crede che regni
felicità e giustizia. In questa visione utopica, l’uomo ha posto la speranza di
una vita immortale e beata, agognato premio per compensare mortificazioni e
patimenti subiti durante la vita terrena. Le supreme verità di fede, annunciate
dalla Chiesa in conformità a (inverosimili) rivelazioni e ispirazioni divine,
non possono avere la pretesa dell’universalità (cattolicità), giacché non
possono essere convalidate con prove e dimostrazioni incontrovertibili. Né può
essere dimostrata l’esistenza di un ente assoluto, trascendente, che si sottrae
al divenire del mondo. Solo in virtù della fede incondizionata nella “auctoritas”
di un’istituzione religiosa e di una “scrittura”, che si crede sia stata
redatta su divina ispirazione, si può assumere per vero ciò che la ragione
respinge. La fede che riposa su speranze ritenute possibili, anziché su verità
concrete, può trascendere in credenze ritenute vere, che escludono il dubbio e
sprofondano la mente nel cieco, distruttivo fanatismo. La libertà di pensiero e
di critica del credente, ligio alle prescrizioni dogmatiche della Chiesa,
legittimata a predicare divine insussistenze, subiscono una rigida limitazione:
l’imposizione del “munus obbedienti”. L’asservimento dell’intelligenza
all’irrazionalità di un credo ostacola il progresso delle conoscenze. Il
dogmatismo dottrinario fondamentalista ottenebra la ragione, intorbida la
coscienza, mortifica l’intelligenza. Riti, simboli e credenze religiose,
espressioni di significati reconditi, perpetuano il mistero di una vacua entità
a profitto di una casta sacralizzata. La via regia della cristiana salvezza è
rischiarata da una pallida luce, simile a quella di una lucciola vagante in una
notte buia. Questa luce, purtroppo, illumina il cammino verso le tenebre del
nulla. La casa di Dio, infatti, appare un tugurio d’inganni.
Si deve
credere nell’esistenza di un ente trascendente, creatore del mondo, perché
molte concezioni religiose lo asseriscono per fede? Oppure perché su un pianeta
sperduto nell’immenso universo si è prodotto il fenomeno della vita e l’uomo
appare come l’essere più importante e influente? La specie umana, peraltro,
rappresenta un’infima percentuale rispetto a tutti gli organismi viventi (sia
animali sia vegetali). I mitici racconti biblici, come quelli concernenti la
creazione, la caduta dell’uomo a causa del peccato originale, il diluvio
universale, le alleanze con Dio, ecc., ancorché tramandati in sacri libri, non
implicano di per sé la loro veridicità. L’esistenza della realtà non
necessariamente ha origine da supposte divinità, né ha un precipuo scopo. Un essere
perfettissimo, qualora esista, non ha bisogno di creare qualcosa che completi
il suo essere. E’ un circolo vizioso, un salto logico, credere che Dio, ente
irreale, sia l’inizio e la fine del mondo reale. Vero è che l’universo per un
verso appare regolato da leggi fisiche e armonie matematiche, che sembrano
implicare l’esistenza di un artefice intelligente, ma, per un altro verso,
appare condizionato da fenomeni imprevedibili e disarmonie cosmiche. Dovremmo
perciò dedurre che Dio è un insieme d’armonie e disarmonie? D’intelligenza e
irrazionalità? Non esistono fondate e comprovate ragioni a sostegno della
credenza in una realtà soprannaturale, che trascende il mondo sensibile
(teismo). Lo stesso concetto di Dio non è necessario all’equilibrio morale e
intellettuale dell’uomo, se talune religioni e le persone differentemente
credenti ne prescindono. La fede nell’aldilà, supposto regno di Dio, in cui
vivrebbero esseri divini, madonne reginette, santi benefattori, beati gaudenti
e cristi addetti alla “pesatura delle anime” (psicostasia), è mera
superstizione, ancorché proficua fonte di sussistenza per la casta sacerdotale,
deputata e legittimata alla rappresentazione del sacro. Elucubrazioni
teologiche avvallano, con argomenti speciosi, tutto ciò che attiene al culto e
alla dottrina religiosa. Sfarzose liturgie, litanie, preghiere ripetitive,
fedeli proni in pii atteggiamenti davanti ad un’icona, a una statua, a una
reliquia per ingraziarsi l’intervento divino, l’intercessione di un santo, la
protezione di una madonna o dell’angelo custode, sono fatti che denotano
aspetti formali e noiosi di una religione politeista e idolatra. Vera effettiva
deità è quella che impera sulla terra (deus in terris), governando le
coscienze in nome e per conto di un essere immaginario e tramite la sacralità
di una fede dogmatica. E’ quella di chi vuole identificare il popolo dei
cristiani con la comunità dei cittadini di una nazione. E’ quella di chi ha
monopolizzato il tempo dell’uomo con feste comandate e sacri riti, osservati
più per consuetudine e convenzione sociale che per convinzione. E’ quella di
chi valorizza l’uomo non per i suoi meriti e la sua utilità sociale, ma per la
fede in un’astratta divinità, vale a dire nell’oscura e irrazionale verità di
una scrittura resa sacra poiché ritenuta ispirata dalla stessa divinità di cui
tale scrittura rappresenta l’unica testimonianza. E’ quella di chi diffonde
pseudo verità religiose, annichilendo l’indipendenza della ragione con la fede
nel pastrocchio teologico della mistificazione salvifica di un redentore,
ipostasi incarnata di un Dio trino. E’ quella di chi ha voluto rappresentarsi
al mondo con l’insegna della tiara (copricapo di origine pagana, formato con
tre sovrapposte corone, simbolo del triregno, cioè dei tre poteri ostentati
dall’autorità papale: ecclesiastico, spirituale, temporale) e della mitra (già
copricapo liturgico del culto mitraico). E’ quella di chi si arroga d’essere
rettore dell’universo, in quanto presume di essere vicario di Dio, da cui fa
discendere la supremazia spirituale (summa potestas) di una Chiesa
teocratica sulle autorità laiche dell’orbe, insidiando la libertas
civium con l’imposizione di supposte norme divine. Arduo sarà, anche
per una società prevalentemente laica, rieducare l’uomo alla scepsi (intesa
come moderato scetticismo) e alla criticità di giudizio, distinto dai
pregiudizi indotti da credenze metafisiche. Dobbiamo imparare a distinguere il
ragionamento critico dalla cieca fede dogmatica, la credenza religiosa dalla necessità
di un’etica. Le credenze teistiche, una volta radicatesi nella psiche degli
adolescenti, terrorizzati da presunti castighi infernali, proni ad accogliere
convincimenti religiosi in assenza di adeguati strumenti per una riflessione
critica, difficilmente potranno essere estirpate, resistendo persino davanti
all’evidenza della realtà, essendo tali credenze, come i sensi, funzionali alla
sopravvivenza umana. L’ecclesia imperante non si preoccupa tanto della salvezza
delle anime, quanto e soprattutto dell’eventuale perdita dei suoi fedeli
sudditi, pietra angolare del suo dominio bi-millenario.
La religione
di un popolo, durante un determinato periodo storico, risente dei
condizionamenti dell’ambiente in cui vive. L’oppressione subita dal popolo
ebreo per le continue invasioni del loro territorio da parte di potenze
straniere (assiri, babilonesi, persiani, egiziani, romani) può aver ingenerato
in loro la speranza di un messia liberatore, portatore di giustizia. In natura
vige la violenza del più forte, giustificata dalla necessità della
sopravvivenza. L’uomo uccide animali per nutrirsi e spesso altri uomini per
conquistare i loro territori e impossessarsi dei loro averi. Il bisogno di un
popolo per assicurarsi la sopravvivenza può influenzare le sue concezioni
mitico-religiose. La dura esistenza del popolo ebreo ha certamente influito
sulle sue concezioni religiose, come quella della creazione del mondo,
concepita come un’immane fatica di un dio, o come quella che giustifica
l’assassinio dei nemici per occupare e difendere un territorio in nome della
propria divinità protettrice. L’uccisione dei nemici diviene così una necessità
per la sopravvivenza, moralmente giustificabile mediante l’espiazione di un
sacrificio. Il loro dio Jahvè, secondo i leggendari racconti della Bibbia,
giustifica l’uccisione di uomini per proteggere il suo prescelto popolo dai
nemici, che ostacolano la conquista della terra che ha loro promesso. Jahvè si
concepisce come un guerriero che combatte al fianco del suo popolo, assicurandone
la vittoria, ma a una condizione: la scrupolosa osservanza delle sue
prescrizioni. La dura lotta per la vita induce gli uomini a credere nella
ricompensa di un premio nell’aldiquà in virtù dei meriti acquisiti. Il premio
per i cristiani, a differenza di quello agognato dagli ebrei durante la loro
terrena esistenza, si realizza dopo la morte, in un’eterna vita di beatitudini
nel bengodi celeste, girovagando su prati d’asfodelo, tessendo lodi
all’Onnipotente. Gesù, il Cristo divinizzato dai cristiani, annuncia il regno
di Dio nell’altro mondo e insegna le regole per entrarci. La contemplazione
della sua divina parola è concepita come suprema conoscenza (Lc 10, 38-42). Si
sentenzia persino che Dio offusca l’intelligenza a chi non vuole comprendere le
Sacre Scritture. In vero, è proprio l’emancipazione della ragione dalle assurde
costrizioni dogmatiche della religione che consente la comprensione critica dei
sacri testi, spacciati per verità sacrosante, ma che la critica rivela essere
di dubbia attendibilità storica, pregni d’incredibili e leggendari episodi.
Solo attraverso il vaglio dell’esperienza e la faticosa acquisizione della
conoscenza delle cause dei fenomeni, la ragione umana consegue l’utile sapere.
Non ci sono
pervenute le opere critiche degli autori pagani contro i cristiani, considerati
portatori di una nuova superstizione. Possediamo solo frammenti riportati nelle
opere di confutazione di alcuni autori cristiani: frammenti di Celso (da
Origene), di Ierocle (da Eusebio), di Giuliano imperatore (da Cirillo di
Alessandria), di Porfirio (da Girolamo e da Macario di Magnesia). Le opere dei
dotti pagani contro la superstizione cristiana furono contestate, falsificate,
condannate, bruciate (per disposto imperiale intorno alla metà del V secolo).
La Chiesa di Cristo, affermatasi come legittima istituzione nel IV secolo, si è
autoproclamata custode della sapienza divina, che un presunto Figlio di Dio le
ha rivelato (e continua a illuminarla mediante lo Spirito Santo). Egli è Gesù,
il “christus domini”, l’unto
del Signore, il re consacrato, l’atteso Messia d’Israele, che si è fatto uomo
per redimere l’umanità da una presunta colpa dei nostri primi avi, da espiare
attraverso pratiche di purificazione (come nelle religioni misteriche).
Terminate le persecuzioni contro i cristiani, iniziò l’ascesa del
cristianesimo, consolidandosi e legittimandosi nello stato costantiniano,
portatore di un pensiero politico-religioso egemonizzato dalla Chiesa. E’ il
principio di una nuova storia di soprusi e di repressioni messe in atto dai
cristiani contro paganesimo, eresie (deviazioni dall’ortodossia) e giudei
(accusati di deicidio). La libertà di parlare con franchezza (parresia)
e spirito critico è soffocata. Il modo di vivere ellenico è perseguitato
(assassinio di Ipazia, maestra, filosofa, scienziata, attiva nella prestigiosa
biblioteca di Alessandria d'Egitto). Gli apologeti cristiani esaltano la figura
del Cristo Gesù, avviando così la costruzione teologica della sua apoteosi. Il
cristianesimo ideologico elaborato dalla Chiesa istituzionalizzata, governata
teocraticamente da un monarca assoluto, si è posto a guida morale del mondo
civilizzato, obliterando l’intelligenza della società civile nel sonno di una
fede dogmatica e assurda, divergente dalla religione mosaica. E’ la storia
inconfessabile di un cristianesimo criminale, che non può sconfessare i
misfatti, gli inganni, le connivenze politiche, né tantomeno giustificarli,
storicizzandoli nei vari contesti culturali e religiosi del tempo. Nel nome di
Dio (che non vuole essere invocato invano), imposto anche con il ferro e il
fuoco, i cristiani hanno divulgato il loro credo “urbi et orbi”,
invadendo il Nuovo Mondo con l’antesignano Colombo, portatore dell’emblema,
triste e cupo, del Cristo in croce. Non la colomba della pace, ma le aquile dei
cristiani “conquistadores” spagnoli, seguiti dai portoghesi e dagli
inglesi, hanno colonizzato e cristianizzato i popoli delle nuove terre scoperte
(imperialismo). I cristiani si sono macchiati di genocidio, pulizia etnica,
sfruttamento, schiavismo, giustificandosi con la necessità di diffondere
l’unica vera fede. Hanno praticato un ignobile commercio umano: la tratta dei
neri, venduti come schiavi. Il mito della maledizione di Noè ai Camiti (Gn 9,
20 seg), condannati alla schiavitù delle stirpi semitiche e iafetiche, e le
teorie delle diseguaglianze delle razze umane e della presunta superiorità
della razza bianca, hanno giustificato l’oppressione e l’asservimento dei
popoli africani e hanno legittimato il diritto alla colonizzazione dei loro
territori. Ai nostri giorni, l’empio commercio compiuto nel nome di Dio dai
nuovi mercanti del tempio, usurpando indegnamente il suo nome e i suoi simboli
(espressamente proibiti nel Decalogo mosaico) a profitto di un dominio
spirituale e temporale, è il triste epilogo del cammino di una Chiesa in
declino irreversibile, che ha sostituito l’agnello di Dio con il vangelo dei
quattrini, con il business del vitello d’oro. La pietra
angolare di Cristo non potrà più sorreggere la monumentale costruzione degli
epigoni, fondata su dogmatismi di stampo clericale, su assurde credenze
inerenti all’incarnazione, al sacrificio, alla morte e resurrezione di Dio
nella persona del Figlio Unigenito, assunte come verità storiche, rinunciando
al rischio della fede (che implica il dubbio). Né sono più sostenibili le
concezioni fondate sulla predilezione selettiva della grazia e benevolenza
divina, sul pregiudizio della superiorità della civiltà cristiana,
sull’intransigenza dell’evangelizzazione, sulla presunzione di conoscere la
Verità, della cui interpretazione il sedicente vicario del Cristo deificato
rivendica l’esclusiva. Contraddittoria appare l’opinione della Chiesa riguardo
alla questione della sessualità, viste le posizioni discriminatorie che essa
assume sia verso la donna sia verso il diverso (sessualmente e socialmente). Se
per un verso il N.T. tende alla parificazione dell’uomo e della donna (dono
malefico di Zeus, per l’antica cultura greca), per un altro verso, si rilevano
posizioni discriminatorie (subalternità, misoginia, ecc.), che riflettono i
pregiudizi del tempo (la donna è stata considerata “ianua diaboli”, la
porta attraverso cui penetra il male).
Lucio Apulo Daunio
Nessun commento:
Posta un commento