sabato 30 luglio 2011


CREDENZE CRISTIANE



Il bisogno di credere in qualche supposta verità, di dare un significato alla propria vita, di avere un riferimento di valori, un ideale, una fede religiosa, accomuna universalmente gli uomini. Il nostro modo di essere nel mondo è correlato alle circostanze di luogo e di tempo in cui viviamo. Ciò che ci distingue, invece, è se il fine che ciascuno persegue in rapporto all’essere nel mondo sia dannoso o utile.

La credenza cristiana in un ente divino, uno e trino, da cui deriverebbero valori morali, non implica né la sua reale esistenza né la cognizione della sua essenza, dotata di Verbo e di Spirito. In forza della fede, però, il cristiano crede che esista una realtà trascendente e che questa si sia concretata nell’immanenza per donare all’umanità la speranza della vita oltre la morte. L’ente divino è raffigurato come un Padre (antropomorfismo), che tramite la persona del Figlio, concepito nel ventre di una donna immacolata sempre vergine, prima, durante e dopo il parto, si è rivelato nell’umana natura, pur conservando quella divina (coincidentia oppositorum di umano e divino). Tutto ciò è paradossale, dunque irrazionale. E’ assurdo credere, sulla base di discutibili testimonianze, che un ebreo di nome Gesù sia il Figlio di Dio ed egli stesso Dio. E’ assurdo credere che il Figlio di Dio sia stato abbandonato dal Padre a un triste destino, affinché la sua sofferenza e il suo sacrificio riscattino l’umanità da una presunta colpa originale (cfr. Mc 15, 34). E’ assurdo credere che Gesù, crocefisso morto e sepolto, possa risorgere dalla morte, apparire vivo e piagato ai discepoli per poi ascendere al cielo nel regno del Padre, dove risiede alla sua destra, simbolo di potenza. Queste assurde credenze implicano la subordinazione della ragione al folle dominio della fede: dono irrazionale che lo Spirito Santo, terza persona divina del panteon cristiano, elargirebbe a eletti individui, ligi all’autorità della Chiesa docente, istituzione legittimata a propagare verità dogmatiche in nome di sconosciute entità divine. Questa sedicente sacra istituzione religiosa ha la pretesa di testimoniare verità teologiche, rivelate mediante presunta divina ispirazione, spacciandole per verità di fatto. Il cristiano ha l’obbligo imperativo di annunciare al mondo intero la sua fede sacrosanta. La sua certezza, fondata sulla fede nelle Sacre Scritture, è il requisito per conseguire la vittoria sul mondo (I Gv 5, 4).

L’onnisciente e onnipotente divina Trinità, invenzione cristiana, che predilige la stoltezza e l’ignoranza (1Co 1, 17-30), donando le sue grazie a chi più gli aggrada, appare diversa dal dio giudaico Jahvè. Questi, prima di essere cristianizzato, aveva scelto un uomo come Mosè, pieno della sapienza di questo mondo, istruito presso gli Egiziani, potente in parole e in opere (At 7, 22), per liberare il suo eletto popolo dalla cattività egiziana. In quei tempi biblici, in cui imperava una religione bellicista, l’altissima divina maestà non gradiva stolti e inetti ignoranti alla guida del suo popolo. Sacrosanta umana contraddizione!

L’evangelista Giovanni, rapito in un’estasi mistica, liricizza nel Vangelo a lui attribuito la narrazione della creazione del mondo e dell’uomo per opera del Verbo, che identifica nell’uomo-dio Gesù. Verbo (Logos) è la parola creatrice di Dio, conoscenza assoluta, realtà “ab aeterno” esistente presso il Padre, da lui generata nella persona del Figlio, creatore del mondo e dell’uomo (Pantokrator). Dio si è incarnato nella persona del Cristo Gesù per riscattare l’umanità dal peccato originale. Da questa diade divina, Padre e Figlio (c.d. Unigenito per decreto dei padri conciliari), procede (deriva, scaturisce) lo Spirito Santo (questione del “Filioque”, concausa del Grande Scisma). Il dio-duo, quindi, si vivifica e s’illumina con un terzo dio: tre diversi predicati di una stessa sostanza, ovvero, un’unità che si predica in tre sostanze. Questo pasticciaccio inestricabile sulla via misteriosa della fede cristiana è incomprensibile, illogico, cervellotico, giacché fondato su sofismi dogmatici teocristologici, partoriti con aspre contese e litigiose diatribe dai padri conciliari. Che i lumi della ragione possano liberare l’umana gente da codesti farraginosi rompicapi!

La Bibbia degli ebrei racconta che l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (l’unico e indivisibile). In realtà, Dio, ideato a immagine e somiglianza dell’uomo, è un’invenzione di una casta sacerdotale a beneficio del proprio dominio sulle coscienze degli uomini. Pensiero e parola sono attributi umani, mediante i quali l’uomo crea e interpreta la realtà conoscibile e immagina l’ignoto. L’uomo ha immaginato Dio, trasfigurando idealmente se stesso, trasponendosi in un mondo immaginario, ultraterreno, dove crede che regni felicità e giustizia. In questa visione utopica, l’uomo ha posto la speranza di una vita immortale e beata, agognato premio per compensare mortificazioni e patimenti subiti durante la vita terrena. Le supreme verità di fede, annunciate dalla Chiesa in conformità a (inverosimili) rivelazioni e ispirazioni divine, non possono avere la pretesa dell’universalità (cattolicità), giacché non possono essere convalidate con prove e dimostrazioni incontrovertibili. Né può essere dimostrata l’esistenza di un ente assoluto, trascendente, che si sottrae al divenire del mondo. Solo in virtù della fede incondizionata nella “auctoritas” di un’istituzione religiosa e di una “scrittura”, che si crede sia stata redatta su divina ispirazione, si può assumere per vero ciò che la ragione respinge. La fede che riposa su speranze ritenute possibili, anziché su verità concrete, può trascendere in credenze ritenute vere, che escludono il dubbio e sprofondano la mente nel cieco, distruttivo fanatismo. La libertà di pensiero e di critica del credente, ligio alle prescrizioni dogmatiche della Chiesa, legittimata a predicare divine insussistenze, subiscono una rigida limitazione: l’imposizione del “munus obbedienti”. L’asservimento dell’intelligenza all’irrazionalità di un credo ostacola il progresso delle conoscenze. Il dogmatismo dottrinario fondamentalista ottenebra la ragione, intorbida la coscienza, mortifica l’intelligenza. Riti, simboli e credenze religiose, espressioni di significati reconditi, perpetuano il mistero di una vacua entità a profitto di una casta sacralizzata. La via regia della cristiana salvezza è rischiarata da una pallida luce, simile a quella di una lucciola vagante in una notte buia. Questa luce, purtroppo, illumina il cammino verso le tenebre del nulla. La casa di Dio, infatti, appare un tugurio d’inganni.

Si deve credere nell’esistenza di un ente trascendente, creatore del mondo, perché molte concezioni religiose lo asseriscono per fede? Oppure perché su un pianeta sperduto nell’immenso universo si è prodotto il fenomeno della vita e l’uomo appare come l’essere più importante e influente? La specie umana, peraltro, rappresenta un’infima percentuale rispetto a tutti gli organismi viventi (sia animali sia vegetali). I mitici racconti biblici, come quelli concernenti la creazione, la caduta dell’uomo a causa del peccato originale, il diluvio universale, le alleanze con Dio, ecc., ancorché tramandati in sacri libri, non implicano di per sé la loro veridicità. L’esistenza della realtà non necessariamente ha origine da supposte divinità, né ha un precipuo scopo. Un essere perfettissimo, qualora esista, non ha bisogno di creare qualcosa che completi il suo essere. E’ un circolo vizioso, un salto logico, credere che Dio, ente irreale, sia l’inizio e la fine del mondo reale. Vero è che l’universo per un verso appare regolato da leggi fisiche e armonie matematiche, che sembrano implicare l’esistenza di un artefice intelligente, ma, per un altro verso, appare condizionato da fenomeni imprevedibili e disarmonie cosmiche. Dovremmo perciò dedurre che Dio è un insieme d’armonie e disarmonie? D’intelligenza e irrazionalità? Non esistono fondate e comprovate ragioni a sostegno della credenza in una realtà soprannaturale, che trascende il mondo sensibile (teismo). Lo stesso concetto di Dio non è necessario all’equilibrio morale e intellettuale dell’uomo, se talune religioni e le persone differentemente credenti ne prescindono. La fede nell’aldilà, supposto regno di Dio, in cui vivrebbero esseri divini, madonne reginette, santi benefattori, beati gaudenti e cristi addetti alla “pesatura delle anime” (psicostasia), è mera superstizione, ancorché proficua fonte di sussistenza per la casta sacerdotale, deputata e legittimata alla rappresentazione del sacro. Elucubrazioni teologiche avvallano, con argomenti speciosi, tutto ciò che attiene al culto e alla dottrina religiosa. Sfarzose liturgie, litanie, preghiere ripetitive, fedeli proni in pii atteggiamenti davanti ad un’icona, a una statua, a una reliquia per ingraziarsi l’intervento divino, l’intercessione di un santo, la protezione di una madonna o dell’angelo custode, sono fatti che denotano aspetti formali e noiosi di una religione politeista e idolatra. Vera effettiva deità è quella che impera sulla terra (deus in terris), governando le coscienze in nome e per conto di un essere immaginario e tramite la sacralità di una fede dogmatica. E’ quella di chi vuole identificare il popolo dei cristiani con la comunità dei cittadini di una nazione. E’ quella di chi ha monopolizzato il tempo dell’uomo con feste comandate e sacri riti, osservati più per consuetudine e convenzione sociale che per convinzione. E’ quella di chi valorizza l’uomo non per i suoi meriti e la sua utilità sociale, ma per la fede in un’astratta divinità, vale a dire nell’oscura e irrazionale verità di una scrittura resa sacra poiché ritenuta ispirata dalla stessa divinità di cui tale scrittura rappresenta l’unica testimonianza. E’ quella di chi diffonde pseudo verità religiose, annichilendo l’indipendenza della ragione con la fede nel pastrocchio teologico della mistificazione salvifica di un redentore, ipostasi incarnata di un Dio trino. E’ quella di chi ha voluto rappresentarsi al mondo con l’insegna della tiara (copricapo di origine pagana, formato con tre sovrapposte corone, simbolo del triregno, cioè dei tre poteri ostentati dall’autorità papale: ecclesiastico, spirituale, temporale) e della mitra (già copricapo liturgico del culto mitraico). E’ quella di chi si arroga d’essere rettore dell’universo, in quanto presume di essere vicario di Dio, da cui fa discendere la supremazia spirituale (summa potestas) di una Chiesa teocratica sulle autorità laiche dell’orbe, insidiando la libertas civium con l’imposizione di supposte norme divine. Arduo sarà, anche per una società prevalentemente laica, rieducare l’uomo alla scepsi (intesa come moderato scetticismo) e alla criticità di giudizio, distinto dai pregiudizi indotti da credenze metafisiche. Dobbiamo imparare a distinguere il ragionamento critico dalla cieca fede dogmatica, la credenza religiosa dalla necessità di un’etica. Le credenze teistiche, una volta radicatesi nella psiche degli adolescenti, terrorizzati da presunti castighi infernali, proni ad accogliere convincimenti religiosi in assenza di adeguati strumenti per una riflessione critica, difficilmente potranno essere estirpate, resistendo persino davanti all’evidenza della realtà, essendo tali credenze, come i sensi, funzionali alla sopravvivenza umana. L’ecclesia imperante non si preoccupa tanto della salvezza delle anime, quanto e soprattutto dell’eventuale perdita dei suoi fedeli sudditi, pietra angolare del suo dominio bi-millenario.

La religione di un popolo, durante un determinato periodo storico, risente dei condizionamenti dell’ambiente in cui vive. L’oppressione subita dal popolo ebreo per le continue invasioni del loro territorio da parte di potenze straniere (assiri, babilonesi, persiani, egiziani, romani) può aver ingenerato in loro la speranza di un messia liberatore, portatore di giustizia. In natura vige la violenza del più forte, giustificata dalla necessità della sopravvivenza. L’uomo uccide animali per nutrirsi e spesso altri uomini per conquistare i loro territori e impossessarsi dei loro averi. Il bisogno di un popolo per assicurarsi la sopravvivenza può influenzare le sue concezioni mitico-religiose. La dura esistenza del popolo ebreo ha certamente influito sulle sue concezioni religiose, come quella della creazione del mondo, concepita come un’immane fatica di un dio, o come quella che giustifica l’assassinio dei nemici per occupare e difendere un territorio in nome della propria divinità protettrice. L’uccisione dei nemici diviene così una necessità per la sopravvivenza, moralmente giustificabile mediante l’espiazione di un sacrificio. Il loro dio Jahvè, secondo i leggendari racconti della Bibbia, giustifica l’uccisione di uomini per proteggere il suo prescelto popolo dai nemici, che ostacolano la conquista della terra che ha loro promesso. Jahvè si concepisce come un guerriero che combatte al fianco del suo popolo, assicurandone la vittoria, ma a una condizione: la scrupolosa osservanza delle sue prescrizioni. La dura lotta per la vita induce gli uomini a credere nella ricompensa di un premio nell’aldiquà in virtù dei meriti acquisiti. Il premio per i cristiani, a differenza di quello agognato dagli ebrei durante la loro terrena esistenza, si realizza dopo la morte, in un’eterna vita di beatitudini nel bengodi celeste, girovagando su prati d’asfodelo, tessendo lodi all’Onnipotente. Gesù, il Cristo divinizzato dai cristiani, annuncia il regno di Dio nell’altro mondo e insegna le regole per entrarci. La contemplazione della sua divina parola è concepita come suprema conoscenza (Lc 10, 38-42). Si sentenzia persino che Dio offusca l’intelligenza a chi non vuole comprendere le Sacre Scritture. In vero, è proprio l’emancipazione della ragione dalle assurde costrizioni dogmatiche della religione che consente la comprensione critica dei sacri testi, spacciati per verità sacrosante, ma che la critica rivela essere di dubbia attendibilità storica, pregni d’incredibili e leggendari episodi. Solo attraverso il vaglio dell’esperienza e la faticosa acquisizione della conoscenza delle cause dei fenomeni, la ragione umana consegue l’utile sapere.

Non ci sono pervenute le opere critiche degli autori pagani contro i cristiani, considerati portatori di una nuova superstizione. Possediamo solo frammenti riportati nelle opere di confutazione di alcuni autori cristiani: frammenti di Celso (da Origene), di Ierocle (da Eusebio), di Giuliano imperatore (da Cirillo di Alessandria), di Porfirio (da Girolamo e da Macario di Magnesia). Le opere dei dotti pagani contro la superstizione cristiana furono contestate, falsificate, condannate, bruciate (per disposto imperiale intorno alla metà del V secolo). La Chiesa di Cristo, affermatasi come legittima istituzione nel IV secolo, si è autoproclamata custode della sapienza divina, che un presunto Figlio di Dio le ha rivelato (e continua a illuminarla mediante lo Spirito Santo). Egli è Gesù, il “christus domini”, l’unto del Signore, il re consacrato, l’atteso Messia d’Israele, che si è fatto uomo per redimere l’umanità da una presunta colpa dei nostri primi avi, da espiare attraverso pratiche di purificazione (come nelle religioni misteriche). Terminate le persecuzioni contro i cristiani, iniziò l’ascesa del cristianesimo, consolidandosi e legittimandosi nello stato costantiniano, portatore di un pensiero politico-religioso egemonizzato dalla Chiesa. E’ il principio di una nuova storia di soprusi e di repressioni messe in atto dai cristiani contro paganesimo, eresie (deviazioni dall’ortodossia) e giudei (accusati di deicidio).  La libertà di parlare con franchezza (parresia) e spirito critico è soffocata. Il modo di vivere ellenico è perseguitato (assassinio di Ipazia, maestra, filosofa, scienziata, attiva nella prestigiosa biblioteca di Alessandria d'Egitto). Gli apologeti cristiani esaltano la figura del Cristo Gesù, avviando così la costruzione teologica della sua apoteosi. Il cristianesimo ideologico elaborato dalla Chiesa istituzionalizzata, governata teocraticamente da un monarca assoluto, si è posto a guida morale del mondo civilizzato, obliterando l’intelligenza della società civile nel sonno di una fede dogmatica e assurda, divergente dalla religione mosaica. E’ la storia inconfessabile di un cristianesimo criminale, che non può sconfessare i misfatti, gli inganni, le connivenze politiche, né tantomeno giustificarli, storicizzandoli nei vari contesti culturali e religiosi del tempo. Nel nome di Dio (che non vuole essere invocato invano), imposto anche con il ferro e il fuoco, i cristiani hanno divulgato il loro credo “urbi et orbi”, invadendo il Nuovo Mondo con l’antesignano Colombo, portatore dell’emblema, triste e cupo, del Cristo in croce. Non la colomba della pace, ma le aquile dei cristiani “conquistadores” spagnoli, seguiti dai portoghesi e dagli inglesi, hanno colonizzato e cristianizzato i popoli delle nuove terre scoperte (imperialismo). I cristiani si sono macchiati di genocidio, pulizia etnica, sfruttamento, schiavismo, giustificandosi con la necessità di diffondere l’unica vera fede. Hanno praticato un ignobile commercio umano: la tratta dei neri, venduti come schiavi. Il mito della maledizione di Noè ai Camiti (Gn 9, 20 seg), condannati alla schiavitù delle stirpi semitiche e iafetiche, e le teorie delle diseguaglianze delle razze umane e della presunta superiorità della razza bianca, hanno giustificato l’oppressione e l’asservimento dei popoli africani e hanno legittimato il diritto alla colonizzazione dei loro territori. Ai nostri giorni, l’empio commercio compiuto nel nome di Dio dai nuovi mercanti del tempio, usurpando indegnamente il suo nome e i suoi simboli (espressamente proibiti nel Decalogo mosaico) a profitto di un dominio spirituale e temporale, è il triste epilogo del cammino di una Chiesa in declino irreversibile, che ha sostituito l’agnello di Dio con il vangelo dei quattrini, con il business del vitello d’oro. La pietra angolare di Cristo non potrà più sorreggere la monumentale costruzione degli epigoni, fondata su dogmatismi di stampo clericale, su assurde credenze inerenti all’incarnazione, al sacrificio, alla morte e resurrezione di Dio nella persona del Figlio Unigenito, assunte come verità storiche, rinunciando al rischio della fede (che implica il dubbio). Né sono più sostenibili le concezioni fondate sulla predilezione selettiva della grazia e benevolenza divina, sul pregiudizio della superiorità della civiltà cristiana, sull’intransigenza dell’evangelizzazione, sulla presunzione di conoscere la Verità, della cui interpretazione il sedicente vicario del Cristo deificato rivendica l’esclusiva. Contraddittoria appare l’opinione della Chiesa riguardo alla questione della sessualità, viste le posizioni discriminatorie che essa assume sia verso la donna sia verso il diverso (sessualmente e socialmente). Se per un verso il N.T. tende alla parificazione dell’uomo e della donna (dono malefico di Zeus, per l’antica cultura greca), per un altro verso, si rilevano posizioni discriminatorie (subalternità, misoginia, ecc.), che riflettono i pregiudizi del tempo (la donna è stata considerata “ianua diaboli”, la porta attraverso cui penetra il male).

              
 Lucio Apulo Daunio


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