SPIGOLATURE
TEOLOGICHE
“Grande successo e molta prosperità
gli dei diedero agli uomini che loro vogliono, mentre ad altri assegnarono
dolori e sospiri per volere delle Moire” (dal fram. 16 del poeta lirico corale
Ibico di Reggio, VI sec. a.e.v.).
Nelle
antiche civiltà, come quella egizia, la conoscenza era prerogativa del ceto
sacerdotale, detentore di una sapienza arcana, enigmatica, esoterica,
simboleggiata dalla Sfinge. I fenomeni naturali erano interpretati come
accadimenti determinati da entità divine. Il Nilo, che irrigava periodicamente
la terra, era considerato un nume benefico, rappresentato da Osiride. La terra
fertilizzata dalla piena del fiume, era rappresentata dalla dea Iside. La
conoscenza, frammista all’arcano delle cose divine, gelosamente custodita
nell’impenetrabilità di un misterioso linguaggio, era svelata esclusivamente
agli iniziati nei misteri, mentre ai profani si raccontavano ambigue favole,
scollegate dalle loro arcane significazioni.
Molti furono
i sapienti greci, fondatori di dottrine misteriche (Omero, Pitagora, Orfeo,
Museo e altri), che, secondo la tradizione, andarono a erudirsi in Egitto. Il
leggendario sacro scrittore Ermete Trismegisto, illuminato da Osiride, insegnò
ai sapienti greci l’arcano delle cose divine, espresso con simbolico
linguaggio. In Grecia, la divinità si esprimeva tramite pizie e sibille in modo
oracolare, cioè mediante allegorie, metafore e sentenze ambigue.
Il culto del
dio Serapide fu introdotto in Egitto da Tolomeo I, generale di Alessandro
Magno, sostituendosi a Osiride (il Dio morto e resuscitato come Gesù) e
associandosi a Iside. Serapide fu identificato con molte divinità greche, tra
cui Helios, Dio Sole. Il suo culto fu confuso con il cristianesimo (cfr.
Historia Augusta, Vita di Saturnino, 8,2).
Ogni società
è caratterizzata da forme di vita rituali, emozionali, non solo nelle
manifestazioni religiose (quali le liturgie o i conferimenti di sacramenti) ma
anche in diversi comportamenti profani, spesso con residuali significati di
sacralità laica (come i riti processuali e l’inaugurazione dell’anno
giudiziario o di quello accademico). In un’epoca di globalizzazione, certe
ritualità della vita sociale assumono carattere universale, sovrapponendosi a
quelle locali, tradizionali, emarginandole. Forme rituali si riscontrano anche
nei riti d’iniziazione e di passaggio da una condizione precedente a una
successiva (spesso si è alla presenza di un cambiamento peggiorativo, come nel
caso delle mutilazioni sessuali delle donne, relegate a uno stato di
subordinazione nell’ambito della famiglia).
Dogma
fondamentale dell’ebraismo è la fede nell’unicità di Dio (Dt 6,4): nessun altro
Dio c’è all’infuori di Lui (Dt 4,35). Dogma fondamentale del cristianesimo è la
fede nella Trinità, in cui la natura divina è distinta in tre persone: Padre,
Figlio, Spirito Santo (vero e proprio rompicapo teologico). Complessa è la
natura di Dio concepita dal cristianesimo: pur essendo un’unica natura, Dio si
manifesta nella moltitudine di rappresentazioni tra loro distinte.
Nei più
antichi documenti del cristianesimo (Lettere attribuite a Paolo di Tarso,
persecutore dei cristiani prima della sua conversione) nulla è detto riguardo
alla biografia di Gesù. Negli Atti degli Apostoli, redatti più tardi rispetto
alle Lettere, laddove si racconta la conversione di Paolo in terza persona (9,3
seg), è scritto che egli sentì una voce che diceva di essere Gesù, mentre chi
lo accompagnava sentiva il suono della voce ma non vedeva nessuno. Più avanti
(22,6 seg.), l’autore degli Atti fa parlare Paolo in prima persona, che afferma
di aver sentito una voce che diceva di essere Gesù il Nazareno, mentre chi lo
accompagnava non udì alcuna voce (in contraddizione con quanto prima
affermato). L’aggiunta dell’appellativo “il Nazareno” dà motivo di ritenere che
quest’ultima pericope sia stata inserita dopo negli Atti, quando Nazareno fu
interpretato come cittadino di Nazareth, supposto villaggio della Galilea della
cui esistenza all’epoca di Gesù si dubita, essendo sconosciuto sia agli autori
delle epistole paoline, sia agli scrittori non cristiani del primo e secondo
secolo e.v., come Giuseppe Flavio; né, peraltro, risultano prove della sua
esistenza dai reperti archeologici. Anche del villaggio Cafarnao, dove Gesù si
trasferì dopo aver lasciato Nazareth, sorgono dubbi sulla sua esatta
ubicazione. Quanto al villaggio di Betania, nel Vangelo secondo Giovanni (1,28;
10,40) si troverebbe di là del fiume Giordano, dove c’era Giovanni Battista che
battezzava i penitenti e dove andò di nuovo Gesù per sfuggire all’arresto.
Betania, dunque, sembrerebbe trovarsi a Est, nella regione Perea di là del
Giordano. Invece, in Giovanni 11,18, Betania disterebbe circa tre chilometri da
Gerusalemme, quindi a ovest del Giordano.
I Vangeli
medesimi, del resto, databili negli ultimi decenni del primo secolo, non sono
stati scritti da testimoni oculari, ma da autori ignoti, che hanno raccolto
notizie frammentarie, inattendibili, contraddittorie, rivestendole di carattere
apologetico a fini propagandistici. Non solo le fonti bibliche, ma anche quelle
extrabibliche non sono documenti atti a comprovare l’esistenza storica di Gesù,
limitandosi a testimoniare l’esistenza di una setta praticante una religione
misterica, considerata come nociva superstizione. Paolo stesso esorta i
convertiti della chiesa di Corinto a diventare amministratori dei misteri di
Cristo (1 Co 4,1). Un’ulteriore prova del carattere misterico del cristianesimo
è quella fornita dall’apocrifo “Vangelo segreto di Marco” (della cui
attendibilità si discute tuttora). Il cristianesimo, nato da una corrente
dell’ebraismo, ha sorprendenti somiglianze con il mitraismo, religione
misterica- astrologica di derivazione greco-romana-persiana. Mitra fu associato
al dio greco Helios (Sole) e al romano Sol Invictus e venerato di domenica
(giorno del Sole). La sua nascita si festeggiava durante il solstizio
d’inverno. Era raffigurato con una luminosa aureola sul capo. Il massimo
sacerdote al suo servizio si denominava “papa”, governava i seguaci dal mitreo
sul colle Vaticano, sede di diversi culti orientali, indossava la mitra
(copricapo frigio-persiano) e portava in mano una grossa chiave con cui si
credeva aprisse le porte del cielo alle anime dei defunti. I seguaci del
mitraismo consumavano un pasto sacro, durante il quale celebravano il
sacrificio del Dio Salvatore, risorto di domenica. Mitra rappresentava la forza
fisica, causa della precessione degli equinozi, scoperta dall’astronomo Ipparco
di Rodi nel 128 ante era volgare. Ipparco costatò che l’equinozio di primavera
ai suoi tempi si era spostato dalla costellazione del Toro a quella dell’Ariete
e stava per transitare in quella dei Pesci. Mitra era raffigurato nell’atto di
sacrificare un toro. Al tempo di Gesù l’equinozio di primavera era già nella
costellazione dei Pesci. Cristo, infatti, novello Mitra, era simboleggiato con
l’ariete: l’agnello divino sacrificato nel giorno di Pasqua per riscattare
l’umanità dal peccato originale. Altro simbolo rappresentativo di Cristo erano
i pesci. Il termine greco ICHTHUS, che significa pesce, rappresentava
l’acrostico: “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”. La leggenda dei Magi
provenienti dall’Oriente (tra le varie ipotesi c’è chi congettura che
provenissero dalla regione Frigia dell’Anatolia), guidati da una stella (assurdo!),
rappresenterebbe taluni astrologi sacerdoti mitraici, che vanno ad adorare la
divinità della nuova era dei Pesci.
Jacob
Lorber, un mistico visionario slovacco dell’800, udiva voci dall’aldilà che
trascrisse come Nuova Rivelazione in numerosi libri. Quelle voci, in fede sua,
erano di Gesù Cristo. Uno dei suoi libri s’intitola “Scambio di lettere fra
Abgaro, re di Edessa, e Gesù”. In verità, non sono lettere autentiche, giacché
Gesù non scrisse nulla di sua mano, sono invece invenzioni di un visionario.
Allo stesso modo dovremmo considerare non solo i tanti libri apocrifi del Nuovo
Testamento, come la pretesa corrispondenza tra Pilato e Tiberio, ma anche i
libri canonici, stante l’abbondanza di fantasticherie in essi raccontate. Cosa
c’è di razionale nei documenti del Nuovo Testamento, che parlano di un essere
soprannaturale, fattosi uomo tramite la nascita da una sempre vergine donna
ingravidata dallo Spirito Santo? La sua spettacolare missione sulla terra non
fece impressione agli storici e scrittori suoi contemporanei e a quelli vissuti
dopo. Nessun documento storico, che non sia di parte cristiana, conosce Gesù e
tantomeno i suoi apostoli. Quei pochi e indiretti cenni sulla superstizione
cristiana, che si riscontrano in alcune opere di scrittori non cristiani, sono
sospette d’interpolazioni o falsificazioni. La storia greca e romana tace
sull’esistenza di Gesù. Giuseppe Flavio, Filone e Giusto di Tiberiade, dotti
ebrei suoi contemporanei, lo ignorano, nonostante il gran chiasso che fece,
secondo quanto raccontano gli evangelisti, che avrebbe dovuto lasciare tracce
significative di sé. Altri documenti ebraici, che accennano a Gesù e ai
cristiani, sono di alcuni secoli più tardi. Di lui non parlano come figura
storica realmente esistita gli scrittori Seneca, Giovenale, Plinio il Giovane,
Svetonio, Plutarco e altri di lingua latina o greca. E’ evidente che gli
evangelisti, se non hanno inventato il personaggio Gesù, hanno certamente
esagerato fino all’inverosimile su di lui, fino a divinizzarlo. Ne consegue che
il Gesù storico, se è esistito, è stato persona diversissima dal Gesù mitizzato
dei Vangeli, le cui attestazioni non hanno valore probatorio, essendo meri
documenti di fede. Altrettanto leggendari appaiono i fatti su Gesù, sulla sua
famiglia e sugli apostoli narrati nei testi apocrifi, esclusi dal canone del
Nuovo Testamento non solo per l’inattendibilità storica dei medesimi, ma anche
perché ritenuti non ispirati dallo Spirito Santo. Molti furono gli eretici che
negarono la divinità di Cristo. Quanto alle brevi citazioni su Gesù nell’opera
“Antichità giudaiche” di Giuseppe Flavio (libro 18,63-64 e libro 20,200), esse
sono evidenti interpolazioni. La prima, infatti, è inserita tra due episodi
connessi tra loro e contiene espressioni (come l’affermazione che Gesù era il
Cristo) che potevano essere pronunciate da un cristiano ma non dall’ebreo
Giuseppe. La seconda contraddice la prima, giacché Giuseppe pur citando Gesù
non lo riconosce come il Cristo. Il bibliografo Fozio, patriarca di
Costantinopoli, che aveva letto una copia dell’opera di Giuseppe senza le
suddette interpolazioni, ci fa sapere che nessun ebreo ha mai parlato di Gesù.
Quanto all’eminente storico romano Tacito, egli parla (Annali, libro 15,44) di
persone processate e condannata a morte da Nerone, invise per i loro misfatti,
chiamate dal volgo cristiani, perché seguaci di Cristo, loro capo. Le altre
aggiunte nel passo in questione sono evidenti interpolazioni. In un passo
precedente (libro 2, 85), Tacito confonde la superstizione cristiana con quella
giudaico-egiziana, i cui addetti furono espulsi da Roma per la loro identica
superstizione. Lo storico romano Svetonio riferisce che durante il regno di
Claudio furono espulsi da Roma i giudei, perché istigati da Cresto erano in
continuo tumulto (Vita di Claudio, cap. 25). E’ evidente che non vi era ancora
distinzione tra giudei e cristiani. Cresto (che significa Buono, titolo
attribuito al dio Sole egiziano Serapide), non potrebbe essere riferito a
Cristo, morto parecchi decenni prima. E’ probabile, invece, che le credenze dei
cristiani fossero confuse con quelle delle religioni orientali.
Simili in
molti aspetti cultuali ai cristiani, e di epoca a essi anteriore, era la setta
sincretistica ebraica dei Terapeuti, di cui parlano Giuseppe Flavio (Guerra
giudaica) e Filone (La vita contemplativa), considerati come “Esseni
contemplativi”. Erano guaritori, che curavano il corpo e lo spirito (mediante
l’unzione con olio nel giorno di sabato) e adoravano il Dio Sole e la dea
Iside, denominata “Madre di Dio”. Eusebio, nella sua “Storia ecclesiastica”
(cfr. libro X e XVII), dice che i Terapeuti erano cristiani solitari che
adoperavano il Vangelo e gli scritti degli Apostoli. Non pare del tutto
inverosimile supporre che il cristianesimo sia di derivazione di culti
giudaico-egiziani, i cui adepti in Roma furono espulsi al tempo di Augusto e di
Tiberio (come informa Tacito). Il Padre della Chiesa, Epifanio di Salamina, nel
Panarion (“Contro le eresie”) afferma che i Terapeuti sono i cristiani.
Il Cristo di
cui parlano gli (sconosciuti) evangelisti è un essere spiritualizzato, irreale,
astorico, anche se antropomorfizzato in un uomo chiamato Gesù e collocato in un
contesto storico attendibile. Di lui è ignoto il luogo, il giorno e l’anno
della sua nascita (anche se erroneamente si crede che sia nato il giorno
dell’anno in cui il Dio Sole risorge dopo il solstizio d’inverno). La storia
ignora la sua vita e la sua tragica morte. Ignora la strage degli innocenti e
la leggenda dei Magi arrivati dall’oriente, guidati da una stella, per
omaggiare il nuovo re dei Giudei. Ignora i tragici eventi e i portenti
verificatisi alla morte ignominiosa del Dio Salvatore. Ignora l’impossibile
resurrezione di Cristo e la sua ascensione nel Regno celeste. Gli evangelisti,
di cui due erano suoi apostoli, ignorano persino il suo aspetto fisico, perché,
evidentemente, non lo hanno conosciuto, eppure su di lui hanno fantasticato
storie inverosimili. Hanno immaginato un modello ideale di uomo, dotato di
poteri magici soprannaturali: hanno inventato il mito di un nuovo Dio e di un
nuovo credo.
Durante i
primi oscuri secoli del cristianesimo sorsero numerose fazioni religiose in
lotta tra di loro per la supremazia. Il Concilio di Nicea nel 325 decretò la
vittoria dell’ortodossia a una di esse, tacciando di eresia le restanti
fazioni. Furono poi scelti quattro Vangeli, senza fornire prove di autenticità,
se non la dogmatica dichiarazione che gli autori erano stati ispirati dallo
Spirito Santo, mentre furono dichiarati apocrifi i molti Vangeli bocciati.
Sembra che a ispirare gli evangelisti siano stati più Spiriti Santi, poiché nei
loro scritti abbondano divergenze e contraddizioni. Tutta la vicenda del Cristo
Gesù è descritta come un continuo miracolo, dalla nascita soprannaturale alla
voluta e preannunciata morte, resurrezione e apoteosi, cioè la sua assunzione
tra gli dei dell’Olimpo cristiano. Tutto di lui è stato preordinato
dall’Altissimo e annunciato dai profeti nelle antiche Scritture. Tutta la sua
vita è in funzione dell’adempimento delle sacre Scritture. Egli, in realtà, è
un simbolo inventato dalla Chiesa, cioè l’Eletto che porta a compimento le
profezie messianiche dell’Antico Testamento. Ciò che a un attento esame critico
appare un’impostura, è stato invece legittimato dall’autorità bi-millenaria
della Chiesa come verità sacrosanta: una verità imposta ai fedeli già dalla più
tenera età, in modo che resti indelebilmente impressa nella loro mente.
L’evangelista
Matteo prima pretende di dimostrare che Gesù discende dal re Davide tramite il
padre Giuseppe, poi sostiene (assurdamente) che Gesù è stato concepito per
opera dello Spirito Santo (che secondo la Chiesa è la terza persona divina di
un Dio che si manifesta come Trinità nelle persone del Padre e del Figlio Gesù:
mistero cristiano!). Delle due l’una: se Gesù discende geneticamente dalla
stirpe di Davide, tramite il padre Giuseppe, non può esser stato concepito
dallo Spirito Santo; se, invece, è stato concepito dallo Spirito Santo, non
appartiene alla Stirpe di Davide. Matteo fa nascere Gesù al tempo di Erode
(morto nel 4 a.e.v.), in una casa di Betlemme, dove arrivano i Magi, guidati da
una stella, per omaggiare il neonato re dei Giudei. L’evangelista Luca, invece,
fa nascere Gesù almeno 11 anni dopo la morte di Erode, che si spaventa (e con
lui tutta Gerusalemme), quando apprende la notizia della nascita di un nuovo
re. Temendo di essere spodestato dal suo trono, ordina la strage degli
innocenti. La sacra famiglia, avvertita da un angelo del Signore, fugge in
Egitto. Morto Erode, la sacra famiglia ritorna in patria, ma non a Betlemme,
per paura di Archelao, figlio di Erode. Va invece in Galilea e si stabilisce
nel villaggio di Nazareth. Luca, contraddicendo Matteo, dice che la sacra
famiglia abita in Nazareth ed è a causa di un censimento che va a Betlemme,
paese originario della famiglia di Giuseppe e della casa di Davide da cui
discende. Al loro arrivo, la sposa Maria dà alla luce il figlio Gesù in una
mangiatoia, perché non c’è posto in albergo. Il bambinello riceve la visita dei
pastori. Dopo otto giorni, Gesù è circonciso; in seguito, è portato al Tempio
in Gerusalemme per la prescritta purificazione della puerpera e l’offerta del
neonato al Signore. Nel Tempio, Gesù è riconosciuto da Simeone e dalla
profetessa Anna come il Messia atteso. La notizia (nel racconto
dell’evangelista Luca) non può arrivare alle orecchie di Erode, essendo egli
morto almeno 11 anni prima. Manca quindi nel racconto di Luca la truce strage
degli innocenti e la fuga in Egitto della sacra famiglia, che, invece, ritorna
in Galilea, a Nazareth. Altri episodi circa l’infanzia e l’adolescenza di Gesù
gli evangelisti ignorano fino all’età in cui, intorno ai trent’anni, inizia la
sua divina missione (prima in Galilea poi in Giudea, secondo i Vangeli
sinottici; soprattutto in Giudea, nel Vangelo secondo Giovanni). Soltanto Luca
ci fa sapere che all’età di circa dodici anni Gesù andò con la sua famiglia a
Gerusalemme per la ricorrenza della festa di Pasqua. Al ritorno verso la
Galilea, la famiglia si accorge dell’assenza del giovinetto. Lo cercano, ma
soltanto dopo tre giorni lo trovano nel Tempio, mentre stava disputando con i
dottori della Legge. Gesù, raggiunta l’età adulta, prima di iniziare il suo
ministero, va a farsi battezzare da Giovanni Battista. Secondo l’evangelista
Marco, durante il rito Gesù ha una personale esperienza: vede da uno squarcio
di cielo lo Spirito Santo discendere su di lui in forma di Colomba e sente una
voce che si compiace di lui e lo proclama Figlio dell’Altissimo. Secondo
Matteo, il Battista conosce bene Gesù, tanto che si rifiuta di battezzarlo,
ritenendo di non esserne degno. Eppure, secondo Luca, il Battista sobbalzò nel
seno di sua madre Elisabetta quando venne a farle visita la parente Maria, già
gravida di Gesù. L’evangelista Giovanni, invece, dice che il Battista non
sapeva chi fosse Gesù. Soltanto quando vide scendere su di lui lo Spirito Santo
nella forma di una colomba lo riconobbe come Messia. Comunque sia, il Battista
non si fa cristiano e nutre dubbi su di lui, tanto che dopo il suo arresto
invia alcuni discepoli da Gesù per accertare se sia proprio lui il Messia. E se
Matteo fa dire a Gesù che il Battista è il profeta Elia, Giovanni fa dire al
Battista che non è lui il profeta Elia. Peraltro, Giovanni risparmia ai lettori
sia la favola delle tentazioni di Satana a Gesù in ritiro spirituale nel
deserto sia le guarigioni degli indemoniati mediante esorcismi. E se in Luca
risulta che i Samaritani non accolsero Gesù, tanto che due suoi apostoli,
Giacomo e Giovanni, vollero castigarli e, per distruggerli, volevano invocare
fuoco dal cielo, l’apostolo Giovanni, supposto autore del quarto Vangelo,
racconta invece che Gesù ebbe buona accoglienza presso i Samaritani.
Contradditori sono anche i resoconti degli evangelisti sui fatti precedenti e
successivi all’arresto di Gesù (per esempio, se Marco dice che Gesù fu
crocefisso all’ora terza, circa le nove del mattino, per Matteo e Luca è l’ora
sesta, circa mezzogiorno, mentre per Giovanni all’ora sesta Gesù era ancora
sotto processo; inoltre, se nei Vangeli sinottici si dice che dall’ora sesta
fino all’ora nona si fece buio su tutta la terra, nel Vangelo secondo Giovanni
tutto avvenne nella piena luce del giorno). Se per Luca i poveri sono gli
indigenti, per Matteo sono i poveri di spirito. Se in Matteo pagani e
pubblicani sono disprezzati, in atri passi dei sinottici Gesù predilige
accompagnarsi a peccatori e pubblicani. Si fa dire a Gesù che le buone opere
devono essere compiute alla luce del giorno; invece in altre circostanze gli si
fa dire che devono essere fatte in segreto. Se talvolta Gesù autorizza a
rendere pubblico il miracolo compiuto, in altre circostanze vieta di
propagandarlo. Se talvolta Gesù invita a sopportare l’altrui violenza, in altre
circostanze ordina l’uso della forza. Se Gesù dice che chi non è con lui è
contro di lui (come dire che chiunque non è cristiano e nemico dei cristiani),
altrove dice che chi non è contro di lui è con lui. Non risulta che Gesù abbia
compiuto i sacrifici prescritti dalla Legge, anche se raccomanda ad altri di
compierli. Egli, infatti, secondo Matteo, non è venuto ad abrogare la Legge e i
profeti; invece, secondo Luca, Gesù dice che la Legge e i profeti hanno avuto
validità fino a Giovanni Battista, mentre dopo Giovanni la salvezza è solamente
in lui.
Se il Cristo
dei Vangeli predica la rassegnazione di fronte alle ingiustizie, Paolo
consiglia di subire l’ingiustizia piuttosto che rivendicarla (1 Co 6, 7).
Aggiunge che chi non si sottomette all’autorità civile, che è stabilita e
ordinata da Dio, subirà doppia punizione, umana e divina (Rm 13, 1-2.5). In
altri passi dei vangeli, invece, Gesù invita a resistere nei tribunali degli
uomini, garantendo l’assistenza agli imputati mediante la sapienza dello
Spirito Santo (per esempio, in Luca 21,12 e seg. e in Mt 10,17-18).
L’evangelista Matteo fa dire a Gesù che non è venuto a portare la pace sulla
terra, bensì la spada con cui recidere i sentimenti umani all’interno della
famiglia, affinché i chiamati possano incondizionatamente ed esclusivamente
dedicarsi a lui (cfr. Mt 8,21-22; 10, 34 seg; Lc 9,59-62). Per salvarsi,
secondo il Gesù descritto da Giovanni (12,25), Luca (14,26) e Matteo, occorre
odiare la propria famiglia e la propria vita (fino a rendersi eunuchi per il
regno dei cieli; cfr. Mt 19,12), non preoccupandosi di cosa mangiare e vestirsi
né darsi pensieri per il domani: basta a ciascun giorno la sua pena (Mt
6,24-34). Chi vuol essere suo discepolo deve rinunciare a tutto (Lc 14,33).
Egli predilige la cura delle cose celesti, piuttosto che di quelle terrestri
(Lc 10,38-42). Manda i suoi discepoli a mietere e a godere i frutti di chi ha
faticato per ottenerli (Gv 4,38). Predica l’incondizionato perdono alle offese
e persino di amare i propri nemici e pregare per loro. Per essere perfetti non
bisogna reagire al male ma subirlo (Mt 5,38-48). Il suo amore, però, lo riversa
solamente agli ebrei, proibendo ai discepoli di predicare la “buona novella” ai
Samaritani e ai Gentili (Mt 10,5-6; 15,21-26). Gesù non prega per il mondo ma
soltanto per chi crede in lui (Gv 17,9). Nessuno, però, può credere in lui se
il Padre non li ha predestinati alla salvezza (Gv 6,44). Solamente i
predestinati sono iniziati ai misteri di Cristo, agli altri, invece, Gesù
racconta parabole affinché non intendano né possano salvarsi (Lc 8,9-10). A Dio
Padre, Figlio e Spirito Santo è lecito fare ciò che vogliono (Mt 20, 1 seg.).
Solamente a chi è predestinato ad accogliere il suo credo Gesù promette
l’eterna salvezza (Mt 13,10-12); infatti, molti sono i chiamati ma pochi gli
eletti (Mt 22,8-14). Per quelli che si perdono, Dio acceca la mente incredula,
affinché non vedano la luce del Vangelo (2 Co 4,3-4; 2 Ts 2,11-12; Fl 2,13). I
ricchi, anche se non malvagi, a causa del loro stato, difficilmente potranno
entrare nel regno di Dio (Mc 10,17seg); mentre i poveri, proprio perché tali
(anche se malvagi?) potranno salvarsi (Lc 6,20). Per salvarsi, secondo il Gesù
di Marco (16,16), bisogna aderire al suo credo e sottoporsi al rito del
battesimo. Chi non ha fede in lui sarà dannato in eterno; anzi, nel giorno del
giudizio universale, sarà trattato peggio degli abitanti di Sodoma e Gomorra
(Mt 13,14-15; Lc 19,27). Il merito delle persone, parola di Gesù, sarà valutato
in base alla loro fede piuttosto che ai loro comportamenti virtuosi. Chi non si
converte alla fede cristiana sarà reciso e, come un tralcio che non fruttifica,
arso nel fuoco (Mt 7, 15-19; Gv 15,6). Non appartenere a Cristo significa non
appartenere a Dio, perciò chi nega Cristo non deve essere né salutato né
accolto nella comunità dei credenti (2Gv 9-11). Chi non si conforma alle
decisioni della Chiesa deve essere scomunicato (Mt 18,17). Il Vangelo secondo
Matteo è stato redatto parecchio tempo dopo quello in cui si presume che Gesù
sia vissuto, giacché gli si fa dire ciò che non avrebbe potuto dire, perché la
Chiesa come istituzione era ancora da edificare. Gesù fu condannato a morte dai
Romani per sedizione, non per blasfemia. Il che fa supporre che Gesù fosse uno
zelota, come alcuni suoi discepoli. Il processo giudaico, invece, sembra
un’invenzione degli evangelisti per addossare agli Ebrei la responsabilità
della condanna di Gesù.
I primi
secoli del cristianesimo, fino all’età costantiniana, furono caratterizzati
dalla lotta intestina tra opposte fazioni cristiane (cristiani legati alle
tradizioni giudaiche contro quelli provenienti dal paganesimo). In seguito, le
fazioni vincitrici si auto – proclamarono ortodosse e combatterono i gruppi
religiosi dissenzienti, tacciandoli di eresia. Dopo Costantino (milites pro
deo) l’odio religioso perseguitò anche i pagani (i non ancora convertiti al
cristianesimo). Persino le pubbliche calamità erano spiegate come causa
dell’ira divina contro pagani ed eretici, ritenuti in preda di mire demoniache.
La cultura religiosa pagana fu accusata come malefica superstizione. Opere
letterarie non conformi alla fede cristiana furono date al rogo. I
templi pagani distrutti o trasformati in chiese. Molti pagani ed eretici furono
ritenuti artefici di manipolazioni demoniache e perciò accusati di magia. Le malefiche
opere demoniache erano credute una conseguenza dell’ira divina per il peccato
di Adamo. I peccati degli uomini erano attribuiti all’esistenza del demonio.
L’umanità, massa dannata, condannata alla morte eterna, per essere liberata dal
demonio e dalla colpa originaria doveva aderire alla fede cristiana e farsi
battezzare. Mediante il sacramento del battesimo, dono del sacrificio del
Figlio di Dio, il Cristo Gesù morto per noi sulla croce, l’umanità può
beneficiare della vita eterna e della contemplazione di Dio. Con la
legittimazione istituzionale della Chiesa, il clero, disciplinato nella
gerarchia ecclesiastica, immerso nella sfera religiosa, si distinse dalla sfera
profana, secolare, mondana, di cui fanno parte i laici, il popolo cristiano che
presiede al culto. I valori di una ristretta e sacralizzata classe sacerdotale
furono imposti, volenti o nolenti, a tutti, credenti o diversamente credenti.
Furono i
giudei cristiani a trasmettere i loro libri sacri (Bibbia dei Settanta,
tradotta in lingua greca) ai convertiti pagani. Solamente verso la fine del IV
sec. si ebbe una traduzione in latino della Bibbia, eseguita da san Gerolamo
(c.d. Vulgata). Le traduzioni in lingue moderne, purché fossero autorizzate
dalla Chiesa, furono eseguite intorno all’epoca umanistica. Il Concilio di
Trento, nel 1546, definì il canone dei libri sacri del cattolicesimo,
ammettendo testi rigettati dalle prime comunità cristiane o rigettando quelli
in uso nella Chiesa antica. Moltissimi erano i vangeli che circolavano nei primi
tempi del cristianesimo e che furono considerati apocrifi dopo l’istituzione
del canone tridentino.
Il
cristianesimo, in quanto religione derivante dall’ebraismo, ha adottato i libri
dell’Antico Testamento (alleanza tra Dio e il suo eletto popolo), cui ha
aggiunto i libri canonici del Nuovo Testamento (alleanza con un nuovo popolo).
I testi sacri dell’Ebraismo sono: il Pentateuco (la legge che Dio aveva dettato
a Mosè), i libri dei Profeti (antichi e posteriori), ispirati da Dio, e altre
Scritture (sapienziali, storiche, ecc.), ritenute non ispirate direttamente da
Dio. A questi testi è stato aggiunto il Talmud, formato dalla Mishnah (la legge
orale), una raccolta di tradizioni sull’interpretazione della Legge, e dalla
Ghemara (un commento alla Mishnah). La Bibbia, in quanto ritenuta ispirata da
Dio, non può errare né ingannare; dunque, essa non può che assumere l’autorità
della verità in ogni sua parte. In realtà, l’immagine che la Bibbia dà di Dio è
negativa. Il Dio biblico è omicida, favorisce un solo popolo, purché sia a lui
servilmente obbediente, e lo incita a sterminare o ridurre in schiavitù altri
popoli. E’ un Dio dispotico, geloso, ingiusto, rancoroso, vendicativo, che
dichiara lecite le uccisioni da lui comandate, in opposizione alle leggi da lui
stesso decretate nel Decalogo. Questa figura negativa di Dio, che rispecchia
quello concepito nell’A.T., è stata accolta nel Corano, soprattutto nelle sure
medinesi. I testi sacri delle tre religioni monoteistiche (ebraismo,
cristianesimo, islamismo), giacché sono creduti di provenienza divina, si
considerano verità assolute, dogmatiche, valide in ogni tempo e luogo, prove
infallibili della rivelazione di Dio. Un solo errore o una sola falsità
riscontrabile nei suddetti sacri testi li renderebbe inattendibili. In realtà,
molti sono gli errori, le falsità, le divergenze, le contraddizioni, le
assurdità, le incoerenze, le inverosimiglianze e altre negatività in essi
riscontrabili, se letti con senso critico. Dunque, non paiono attendibili. Nel
dubbio, ognuno può ritenerli veri, per fede, o falsi, quindi non degni di fede.
Con quali
criteri furono scritti i tanti vangeli (canonici e apocrifi) e come fu
accertata l’attendibilità o falsità dei medesimi? Gli autori furono testimoni
oculari o riportarono altrui testimonianze e quali, quelle dei testimoni
oculari o quelle dedotte dalla tradizione orale? Quali prove o garanzie furono
addotte per avvalorare la veridicità delle narrazioni e dei presunti miracoli
operati da Gesù, che nulla scrisse di suo pugno? Quale certezza abbiamo che le
copie a noi pervenute siano fedeli ai perduti testi originali e che non abbiano
subito nel tempo interpolazioni o aggiunte? Quali sono i vangeli più autentici,
quelli dei cristiani giudaizzanti o quelli dei gentili convertiti? Mah! La
moderna critica testuale, il cui scopo è emendare il testo da errori, glosse e
difetti introdotti volontariamente o involontariamente da copisti e traduttori,
fino a che punto può garantire l’autenticità della copia in esame al testo
originale (sempreché questo si possa ritenere veridico in ogni sua parte)?
L’attuale testo delle Scritture è preferibile leggerlo con spirito critico per
quello che letteralmente dice e comprenderlo per quanto consente la nostra
intelligenza. Lasciamo alle speculazioni teologiche argomentare illazioni,
supposizioni, ipotesi per fortificare la fede dei credenti.
Il Concilio
Vaticano I, presieduto da Pio IX, aveva decretato l’infallibilità del papa e
aveva stabilito che sacri e canonici dovevano essere intesi i libri approvati come
tali dal Concilio di Trento, giacché autore di essi è Dio, che ha ispirato gli
scrittori e che ispira lo stesso papa quando parla “ex cathedra” (infallibilità
delle sue decisioni). Il Concilio di Trento, in verità, aveva santificato non i
testi originari, ma la traduzione in latino di san Gerolamo (c.d. Vulgata),
ritenuta ispirata da Dio al traduttore. Pio X con l’enciclica del 1907 condannò
la critica testuale, perché riteneva i testi sacri immutabili e intangibili in
conformità al credo tridentino. Già Pio IX tacciava i filologi come nemici
della divina rivelazione. Pio XII, invece, con l’enciclica del 1943, promosse
la critica testuale, contraddicendo i suoi predecessori e la loro presunta
infallibilità. I testi sacri, in realtà, come qualsiasi altro testo antico,
possono subire interpolazioni e corruzioni durante il lungo processo storico
della loro esistenza.
Il diritto e
l’eticità di uno Stato devono fondarsi sulla religione o essere indipendenti da
essa, che presume di conoscere la volontà di Dio? Su quale religione e su quale
Dio deve fondarsi l'eticità e il diritto, posto che ogni religione ha il suo
Dio? Il Gesù dei vangeli sembra voler indicare che vi siano due autorità e due
distinte competenze, quella terrena e quella celeste. Il cristianesimo ha
interpretato le parole messe in bocca a Gesù, ritenendo che la legge divina,
cioè la norma per accedere alla salvezza e alla vita eterna nel Regno di Dio,
sia superiore alla legge dello Stato, il cui scopo è limitato al governo della
vita terrena. Dunque, i doveri verso Dio, così come prescritti e garantiti
dalla Chiesa, sarebbero superiori ai doveri verso lo Stato. La legge morale
della religione cristiana, quindi, sarebbe superiore a quella derivante dalle
norme giuridiche dello Stato, perché l’una discenderebbe dalla volontà di Dio,
l’altra da quella deliberata dagli uomini. Ne consegue che il potere della
Chiesa dovrebbe essere superiore a quello dello Stato, che non può ostacolare i
doveri che il cristiano ha verso Dio né può limitare l’autorità della Chiesa in
merito all’interpretazione della volontà divina. L’autorità dello Stato,
quindi, dovrebbe essere subordinata a quella della Chiesa, che può o non
legittimare l’altro, secondo che la legge dello Stato sia o non conforme a
quella della Chiesa, la cui legittimazione, superiorità e sacralità
discenderebbero direttamente da Dio.
Lucio Apulo Daunio